Una storia, sbagliata, che si ripete a danno dei cittadini dell’Isontino

Nella foto: Agata Christie 

«Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova» diceva Agatha Christie.

Nel caso in questione non serve il terzo indizio per avere la prova dell’arroganza di questa destra isontina a trazione leghista che tratta una società partecipata come proprietà esclusiva, in barba agli accordi sottoscritti tra i comuni soci che dovrebbero garantire tutti i cittadini dell’ex provincia di Gorizia.

Va detto in premessa, a scanso di equivoci, che gli accordi tra soci ex art. 30 del Testo Unico degli Enti Locali (i cd. patti parasociali) non sono un oscuro e inutile tecnicismo, che nulla hanno a che fare con il funzionamento della società, ma sono accordi approvati da tutti i consigli comunali dei comuni soci, espressamente richiamati dallo Statuto sociale e senza i quali non sarebbe possibile affidare direttamente alla società partecipata la gestione del servizio idrico integrato.

È chiaro che, più ancora che in qualsiasi società privata, alla base di tutto ci deve essere l’accordo e la condivisione tra i soci delle scelte strategiche che la società dovrà prendere. E tra queste, è stato ben sottolineato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (l’ANAC, ente preposto a verificare il rispetto dei requisiti minimi degli affidamenti diretti dei servizi pubblici), rientra a pieno titolo la nomina del management.

Procediamo con ordine e vediamo allora cosa dicono i patti parasociali che regolano il controllo analogo di Irisacqua con riferimento alla nomina dell’organo amministrativo: “Nel caso in cui non si trovi l’unanimità di consensi sulle nomine, per dar modo a tutti i soci di esercitare congiuntamente il controllo analogo in seno alla Società, l’opzione sarà automaticamente quella di un Consiglio di Amministrazione…”.

Nel caso della proposta (o, meglio, dell’imposizione) di nomina dell’ amministratore unico di Irisacqua, l’avv. Giulia Martellos, questa unanimità non è stata raggiunta; anzi, la stragrande maggioranza dei comuni, ben 17 su 25, si era detta propensa ad affidare la guida della società a un consiglio di amministrazione, che fosse rappresentativo di tutti i soci e che fosse in grado di sostenere, con specifiche professionalità, le sfide future relative alle aggregazioni societarie che si stanno prospettando all’orizzonte nel settore dei servizi pubblici regionali.

Nonostante ciò, in assemblea, il Comune di Monfalcone ha voluto mettere ai voti la nomina dell’amministratore unico e farlo passare a maggioranza.

Anche questa volta, era già successo sette anni fa, Monfalcone ha mostrato i muscoli con la complicità di Gorizia, Cormons e di alcuni comuni minori che, in cambio di un piatto di lenticchie servito in occasione della concertazione regionale, si sono resi disponibili a votare una delibera della cui legittimità è più che lecito dubitare. Ma mentre sette anni fa alcuni comuni furono costretti a ricorrere all’arbitrato previsto dagli accordi allora vigenti per far valere le loro ragioni, stavolta non servirà un lodo arbitrale ma sarà sufficiente impugnare la delibera davanti al tribunale ordinario e, soprattutto, nel frattempo si è già espressa chiaramente ANAC, smentendo di fatto quelle che furono le infelici conclusioni del collegio arbitrale di allora. E che cosa ha affermato ANAC?

In un parere fornito nel 2020 l’Autorità garante ha messo nero su bianco, citando la norma sul controllo analogo (l’articolo 5, comma 5, del D.Lgs. 50/2016), quanto segue: “Dalla lettura del dettato normativo risulta chiaro, dunque, come la sussistenza di una situazione di controllo analogo congiunto sia strettamente legata alla compresenza di tutti e tre i requisiti previsti dalla citata disposizione, il primo dei quali – la lettera a) – prescrive proprio la specifica composizione degli organi decisionali della società partecipata, che dev’essere prefigurata in modo tale che siano rappresentate tutte le amministrazioni partecipanti alla medesima società. Ciò presuppone, dunque, la predisposizione di meccanismi di nomina/elezione dell’organo che rispecchino l’accordo, o comunque un comune indirizzo, da parte di tutti gli enti pubblici soci”.

E tali meccanismi, declinati nei patti parasociali, erano stati pensati, condivisi e approvati da tutti i comuni nel 2021 proprio per evitare situazioni di conflitto analoghe a quelle avvenute nel 2017 e garantire a tutti i soci di poter esercitare il controllo analogo con l’indicazione di propri rappresentanti in seno all’organo amministrativo. Non servono fini giuristi per capire che, grazie al comportamento privo di qualsiasi rispetto istituzionale di Monfalcone & Co., si è di nuovo messo in discussione l’affidamento diretto ad Irisacqua del servizio idrico integrato dei comuni della ex provincia di Gorizia.

La smania di prevaricazione e protagonismo a tutti i costi del Comune di Monfalcone ha avuto il sopravvento; una smania accompagnata, è giusto dirlo, ad un nanismo politico avvilente e all’assoluta incapacità di dialogo. Una ferita che lascerà altre, profonde, cicatrici sul territorio provinciale negli anni a venire. Lontanissimi sembrano i tempi in cui una politica territoriale lungimirante, capace di confrontarsi e condividere scelte nel rispetto di tutti gli attori presenti sul territorio (anche di quei piccoli comuni i cui cittadini oggi sono di serie B se le amministrazioni non risultano “gradite” all’attuale maggioranza regionale e provinciale) seppe dar vita a questa e altre società, che ora la destra, leghista in primis, sta rovinando.

Red

 

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