Nel 2018, quando un gruppo di politici locali mi chiese la disponibilità a candidarmi a sindaco di Monfalcone per le elezioni amministrative che si sarebbero svolte nel ’22, pensai che forse qualcosa era cambiato in città.
Pensai che la sconfitta del 2016, dolorosa e inaspettata fino a qualche mese prima, avesse sortito l’effetto di risvegliare qualche pensiero “laterale” all’interno di quel centrosinistra che da troppo tempo si era adagiato su sé stesso. Certamente quella sconfitta fu amara: la candidata di centrodestra, che non veniva da una lunga militanza partitica e che aveva sfiorato il successo alla tornata precedente, era riuscita a interpretare la richiesta di cambiamento di un elettorato stanco e disilluso. Sicuramente quel consenso fu veicolato da messaggi e promesse del tutto vane e, vorrei dire, patetiche ma quanto era accaduto aveva dei significati profondi, in parte figli dei tempi e di un cambiamento radicale della società e (di conseguenza) delle forme e della sostanza della politica. Insomma, il famoso “è da più di vent’anni che facciamo così” si era dimostrato insufficiente e, anzi, perdente.
Dicevo, al tempo mi parve di capire che quelle persone, che per l’appunto da decenni calcavano le scene della politica locale ricoprendo ruoli apicali, avessero in qualche modo compreso che era giunto il tempo del cambiamento.
Ora, il cambiamento all’interno delle organizzazioni è sempre estremamente faticoso e per certi versi doloroso. È faticoso per le organizzazioni e per le persone, perché richiede analisi, passi indietro, rinunce e la profonda consapevolezza che qualcosa è stato sbagliato; è faticoso perché sappiamo che costruire nuovi processi organizzativi è tutt’altro che semplice e richiede competenze e tanto impegno. Talvolta il cambiamento è anche doloroso, in particolare per le persone, perché spesso comporta l’abbandono di posizioni e ruoli che per alcuni rappresentano un vero e proprio status e per altri anche una fonte di reddito.
Al netto di queste considerazioni, iniziai a dedicarmi all’analisi dello scenario politico locale, supportato da tutti quegli attori di primo piano che, devo ammetterlo, si prodigarono in consigli e approfondimenti.
La sensazione, fin da subito, fu che l’oggetto di cui stavamo parlando (il centrosinistra locale, ma probabilmente non solo quello) era davvero datato e decisamente superato dai tempi. E lo era per molti aspetti.
Non è qui il caso di entrare in molti dettagli, ma apparve evidente da subito che la “narrazione” che accompagnava i processi e le proposte della coalizione di centrosinistra era davvero lontana dall’attualità, ovvero era incapace di attrarre l’elettorato di riferimento, di coinvolgere un “nuovo” elettorato e di ampliare la militanza a un livello che fosse sufficiente rispetto alle necessità operative essenziali.
Gli assi principali su cui pareva necessario lavorare erano quelli che spesso accompagnano i processi del cambiamento organizzativo e che provo a elencare brevemente, in ordine assolutamente casuale.
Esiste(va) un problema di parole e di simboli, ovvero dei termini utilizzati e delle immagini presentate. Pare una banalità ma i tempi cambiano, la società è in divenire, la cultura e le sensibilità si modificano. Di conseguenza dovrebbero modificarsi le parole e le immagini che vengono proposte. In questo tema c’è tutto ciò che ha a che fare con la comunicazione, i media, i loghi, gli slogan, i testi, lo scritto, il verbale, il non verbale, ecc. Chi non ci crede guardi al mondo che ci circonda e provi a pensare al mondo di venti, trenta anni fa. Vi pare che si usino le stesse parole, gli stessi mezzi e gli stessi simboli? No, eh?
Esiste(va) un problema di contenuti, e in particolare di priorità. Purtroppo dobbiamo dircelo: è mancato il coraggio di trattare alcuni argomenti, e anche oggi alcuni fanno una gran fatica a toccare dei temi sui quali le posizioni paiono cristallizzate e vecchie di decenni. Questo è un grosso problema, perché sappiamo che spesso alcuni modelli sono fortemente ideologizzati e uscire da questi tracciati è molto difficile, per alcune persone addirittura impossibile. Con la stessa pragmatica dobbiamo anche riconoscere che le soluzioni non sono eterne, ed anzi evolvono nella complessità del mondo che ci circonda, adattandosi ai tempi e alle necessità; le risposte, di conseguenza, vanno aggiornate di continuo.
Se non ci credete fate l’esperimento di prima: pensate al mondo di vent’anni fa, ma fatelo onestamente, senza preconcetti.
Esiste(va) un problema di persone. Eh sì, spiace dirlo, ma anche questo è un tema pregnante. Siamo sinceri: che siano sempre le stesse persone a occuparsi degli stessi argomenti da trent’anni fa un po’ pensare… In qualsiasi organizzazione una “staticità” di tale durata sarebbe vista come il vero problema. Nulla di personale, ma dobbiamo ammetterlo: la politica del centrosinistra monfalconese (come territorio) è popolata di uomini e donne che superano i venti anni di anzianità nei ruoli amministrativi (consiglieri, assessori, sindaci, eccetera). Questo qualcosa ci deve dire.
Esiste(va) un problema di procedure. Anche questo è un argomento che non si può ignorare: se oggi facciamo le cose (e mai locuzione fu più generica) come le facevamo negli anni Novanta o prima ancora, ebbene, probabilmente sarebbe necessario ripensarci. E su questo punto non mi pare il caso di aggiungere altro.
Esiste(va) un problema di leadership. Qui l’argomento si fa davvero pregnante. Sappiamo che sul tema esistono molteplici scuole di pensiero, teorie e prassi. Mi limito a dire quella che è la mia preferita, secondo una declinazione (abbastanza) personale. La mia idea è che, nella complessità di oggi, la forma di leadership che meglio riesce a rispondere alle sfide dei nostri tempi è quella cosiddetta “diffusa”. Cosa significa? Significa che chi assume incarichi apicali deve avere la forza e la cultura organizzativa necessarie ad accettare e gestire modelli organizzativi nei quali specifiche funzioni sono fortemente delegate. Pare una cosa molto banale ma non è così. E non è così (ovviamente) nelle organizzazioni che prevedono modelli con grande accentramento dei poteri, ma non è così nemmeno nelle strutture dove è prevista statutariamente la delega di funzione, e lo vediamo molto spesso, ahimè, anche nelle pubbliche amministrazioni.
Ci sarebbero ancora diversi punti da trattare, ma credo che già questi siano alquanto pregnanti e… impegnativi.
Detto ciò, la domanda che dobbiamo porci oggi, alla vigilia di una nuova tornata di elezioni amministrative, è se esiste, in seno alla coalizione del centrosinistra monfalconese, una visione che possa partire dalla soluzione di questi “problemi”.
Perché la sensazione è che, se questi argomenti non troveranno nuove modalità e nuove idee, la proposta che si andrà a costruire potrà certamente sembrare rassicurante e nel “solco delle migliori tradizioni”, ma ben lontana dalla possibilità di raccogliere quel consenso che tutti noi auspichiamo.
Davide Strukelj