“Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano”. Questo ordine perentorio da secoli scuote la coscienza dei credenti e suscita la derisione dei non credenti.
Oggi, domenica 23 febbraio, mi sono sentito interpellato durante la lettura del Vangelo. Davvero Gesù mi chiede di accettare ogni sopruso perpetrato da chiunque nei miei confronti e mi chiede di non reagire con violenza quando vengo aggredito? Quando vedo il male assoluto che uccide innocenti, che sfrutta i più deboli, mi indigno, provo istintivamente una reazione violenta. Se poi vedo allearsi tra loro potenze malvagie, oltre ogni prevedibile scenario di follia, vengo travolto dallo sconforto.
Dio vuole il nostro bene, vuole la realizzazione del suo piano di bene per ciascuno di noi. Ma allora come possono conciliarsi questi due estremi? Vedendo un mio fratello che causa dolore e sofferenza a un altro fratello, posso affrontarlo e farlo desistere e, se sì, come, se devo addirittura “fargli del bene”?
L’evangelista Luca mi ricorda che dovrei amare il mio nemico. Ma allora cosa significa amare il mio nemico? In questo mondo, dove masse di popolo si affidano a uomini o donne che urlano, che ordinano, che passano palesemente sopra ai diritti di molti per conseguire e mantenere il potere, come posso amarlo? Come posso amare coloro che palesemente si prendono gioco di chi si affida loro perché non ha gli strumenti per capire cosa venga compiuto a loro insaputa?
Certamente come credenti siamo interpellati a fare la nostra parte per collaborare alla realizzazione del Regno, attivamente, sempre, fino a quando saremo diventati “servi inutili”.
Io credo che il primo passo lo devo fare verso me stesso per capire cosa il Signore chiede a me. Ho ricevuto talenti, imparo a usarli e a metterli al servizio degli altri gratuitamente, non sono un mio diritto o patrimonio, ma sono il mio strumento per fare ciò che il Signore chiede.
Ma il nodo dell’“amare il prossimo”, buono o cattivo che sia, rimane ancora aperto. Amare non significa accettare tutto ciò che mi viene proposto o che vedo, se le azioni osservate sono in contrasto con quello che penso io sia chiamato a fare, mi devo confrontare con il mio interlocutore. E qui viene il punto in cui posso scegliere se rimanere fedele alla mia chiamata oppure prendere un’altra strada. Posso affrontare il mio “nemico” con amore per l’uomo che ho difronte, ben sapendo che sarà una strada lunga, difficile e dall’esito incerto, oppure lo posso attaccare, posso cercare di disarmarlo, anche con violenza, la soluzione apparentemente più facile e rapida (la politica del battere i pugni).
L’insegnamento che mi porto a casa oggi è che le mie energie, i miei talenti, le mie capacità possono portare al successo se le utilizzo appieno, senza risparmiarmi, arrivando a fine giornata stanco, distrutto, ma consapevole di aver costruito la mia piccola tessera di mosaico.
E poi sono consapevole che non sono solo, faccio parte di una comunità, di una città, di una nazione, del mondo. Ogni mio atto in questa direzione viene visto, analizzato e da chi è animato da buona volontà viene anche compreso. Divento un testimone positivo e imitabile permettendo alle tessere del mosaico di moltiplicarsi per andare ad occupare il loro posto nel grande Disegno.
Il mio auspicio è che almeno nella campagna elettorale che interessa la mia città, Monfalcone, nel confronto e nelle proposte che si faranno, questo vedere nell’altro un uomo da amare per costruire con lui le più colorate e armoniose tessere del mosaico, sia il filo da seguire. Vanno accantonate le visioni divisive degli ultimi anni per trovare il modo di fare il più bel mosaico che sia mai stato qui disegnato.
Enrico Altran