Questo articolo è la sintesi di un documento programmatico in fieri per confrontarci sul presente e sul futuro del mandamento monfalconese e soprattutto sulla Monfalcone che verrà.
In premessa, va detto che il fenomeno migratorio presente a Monfalcone e sul territorio è frutto di scelte maturate dagli inizi degli anni Duemila, che hanno visto lo stabilimento Fincantieri di Monfalcone cambiare completamente modello organizzativo nella costruzione delle navi attraverso una serie di azioni:
- esternalizzando totalmente al mondo dell’appalto fasi intere di produzione;
- non sostituendo (se non in minima percentuale) il personale (soprattutto operaio), “esodato” per ragioni legate all’esposizione all’amianto, per dimissioni o per raggiunti limiti pensionistici.
Un fenomeno – quello migratorio a Monfalcone – quindi, che va gestito e affrontato nella sua complessità, senza scorciatoie.
Oggi stiamo vivendo a Monfalcone una fase di contrapposizione creata e alimentata dall’Amministrazione comunale, specie in questo ultimo periodo, con alcune comunità straniere qui stanziali, che hanno subito un attacco mediatico senza precedenti, ingiustificato, quasi a voler criminalizzare un’etnia in particolare rispetto alle altre. Oltre al rischio di rasentare il procurato allarme, non possiamo non sottolineare come – a forza di continuare a esasperare i toni volendo additare a tutti i costi un nemico da abbattere – si possano generare scenari imprevedibili e incontrollabili dal punto di vista della coesione sociale e, perfino, dello stesso ordine pubblico.
L’Amministrazione comunale rappresenta una Monfalcone diversa da quella che è realmente e parla costantemente di “islamizzazione” e di “sostituzione”, andando a innescare una “guerra di religione” che invece non esiste per la larghissima maggioranza dei monfalconesi: una rappresentazione che ha avuto come risposta l’imponente e pacifica manifestazione del 23 dicembre, con migliaia di partecipanti, organizzata dai centri culturali islamici di Monfalcone all’insegna del motto “Siamo tutti Monfalconesi”, scandito fra le bandiere italiane ed europee.
Questo vuole essere un primo documento schematico, per punti, per aprire una riflessione autentica, chiedendo la collaborazione dei vari livelli istituzionali e dei soggetti interessati.
1) Istituzione di un unico tavolo istituzionale permanente che affronti la tematica della forza lavoro, impiegata in particolare nel settore della navalmeccanica. Va fatta chiarezza sull’applicazione dei contratti collettivi nazionali nell’appalto e nel subappalto di Fincantieri; va stabilito il principio che a parità di lavoro deve corrispondere una parità di retribuzione, indipendentemente da ogni altra considerazione (assunzione diretta o in appalto e subappalto), così da evitare qualsiasi forma di discriminazione e dumping salariale, già peraltro presente in maniera strisciante e purtroppo tollerata. Vanno contrastate con maggiore determinazione le forme patologiche di caporalato che nel tempo si sono annidate nel sistema dell’appalto. Quest’ultimo – rispetto all’estensione notevole che ha raggiunto – va ridimensionato, attraverso una parziale reinternalizzazione di alcune lavorazioni. Allo stesso modo, va rimarcato come vanno poste medesime condizioni di partenza relativamente alla sicurezza e all’igiene del lavoro, anche a partire dalla messa a disposizione gratuita degli spogliatoi per i dipendenti delle ditte di appalto e subappalto. Infine, vanno condivisi e programmati con Fincantieri alcuni interventi – che possono ispirarsi anche al presente documento – legati alla Responsabilità Sociale d’Impresa, tema molte volte sottovalutato dalle istituzioni;
2) L’ascolto del mondo dell’istruzione e la cura delle politiche scolastiche sono passaggi ineludibili per favorire l’inclusione delle numerose comunità straniere. La scuola del primo ciclo (infanzia non obbligatoria, primarie e secondaria di I grado obbligatorie) sono caratterizzate dall’alto tasso di bambini non italofoni, aspetto che complica la didattica, ma che rappresenta il campo fondamentale su cui giocare la partita dell’inclusione con effetti sul medio e lungo periodo (prospettiva sulle seconde e terze generazioni).
È necessario valorizzare, ad esempio con l’istituzione di tavoli e la costituzione di reti tra enti e istituzioni scolastiche di Monfalcone e di contesti territoriali simili caratterizzati da forti migrazioni, le esperienze didattiche e le sperimentazioni pedagogiche maturate nelle nostre scuole a partire dagli anni Novanta, patrimonio finora scarsamente considerato.
Sull’alto numero di studenti non italofoni concentrati nelle classi bisogna intervenire garantendo il minor numero di alunni possibili per classe e, al contempo, fornendo alle scuole adeguate risorse per aumentare la presenza di personale in classe (docenti di potenziamento e in compresenza, mediatori linguistici e culturali).
È auspicabile aprire un dialogo con le scuole, nel rispetto dell’autonomia scolastica e delle prerogative degli organi collegiali, per ideare percorsi di dialogo interculturale ed interreligioso, nonché di storia delle religioni, da realizzarsi eventualmente nell’ora alternativa a quella dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC), tendenzialmente non frequentata dagli studenti musulmani (oltre che da chi preferisce soluzioni diverse rispetto all’IRC), e/o nel curricolo di educazione civica.
Vanno creati ulteriori posti di asilo nido a costi accessibili, con l’intento – in prospettiva – di far crescere l’occupazione femminile anche fra le comunità straniere.
Va implementato il Centro Provinciale di Istruzione per gli Adulti (CPIA) specie per quanto riguarda l’alfabetizzazione in italiano nel plesso di Monfalcone, strumento primario di integrazione per le persone di origine straniera, visto che risulta non soddisfatta quasi la metà delle richieste di iscrizione al corrente anno scolastico. Va favorita in particolare l’adesione ai corsi da parte delle donne, anche al fine di consentire il superamento del gender gap; tale azione deve rientrare in una più ampia strategia delle istituzioni per favorire l’emancipazione delle adolescenti e delle donne straniere.
Va inoltre sostenuta l’Associazione Monfalcone Interetnica (AMI) che meritoriamente svolge corsi di italiano attraverso il volontariato, esempio unico nel panorama locale; al contempo non è pensabile che non ci sia un protagonismo delle istituzioni nell’organizzazione di simili occasioni di integrazione e di crescita per le persone di origine straniera.
3) Sul tema della libertà di culto il nostro riferimento sono gli articoli 8, 19 e 20 della Costituzione italiana, che la riconosce per qualsiasi religione. In un’ottica di integrazione (e non di assimilazione) delle comunità straniere, va perseguito in maniera convinta e con l’appoggio dei vari livelli istituzionali il dialogo interreligioso, pratica peraltro già diffusasi autonomamente all’interno della società civile e fra le varie comunità di credenti. Peraltro, in ogni città con presenza di religioni diverse sono garantiti a ognuno i propri luoghi di culto: basti pensare a Trieste che, oltre a tante Chiese, vede la presenza di una Sinagoga e di una Moschea. L’obiettivo deve essere la convivenza nel rispetto reciproco, non la conversione forzata alla nostra religione o a uno stereotipato modello di vita occidentale. Da qui va riconosciuta la soggettività dei due centri culturali islamici di Monfalcone, da cui partire per un dialogo con tutte le comunità religiose, considerato che in città esistono, oltre chiaramente alla storica e maggioritaria comunità cattolica, quelle cristiane ortodosse e induiste, assieme ad altre minori. Riteniamo che persone di qualsiasi fede religiosa hanno diritto a riunirsi e a professarla liberamente, anche in propri luoghi di culto o in centri culturali. E se una città di medio-piccole dimensioni come Monfalcone (che da poco ha superato i 30mila abitanti) ha un terzo della popolazione di origine straniera, di cui una buona parte di religione musulmana, questi cittadini – siamo portati a concludere – devono avere la possibilità di riunirsi per pregare. E per questo sarà necessario venga individuata dall’Amministrazione comunale una corretta destinazione urbanistica di alcune aree/immobili sul piano regolatore, utili a far sì che una persona possa liberamente pregare. Gli strumenti urbanistici vanno adeguati alle esigenze che emergono nella società, quelle dei “nuovi” cittadini che vivono e lavorano a Monfalcone, perché non è pensabile rendere “illegale” l’esercizio della preghiera di gruppo dei musulmani (o la pratica del cricket, come vedremo in seguito).
Diversamente, proibire la preghiera di gruppo in luoghi pubblici rischia esclusivamente di radicalizzare le posizioni, con pesanti ripercussioni di tipo sociale e, in prospettiva, di ordine pubblico. In ogni caso è preferibile conoscere i luoghi di aggregazione sociale, piuttosto che ghettizzare la pratica religiosa in spazi privati, anche in un’ottica di “supervisione” da parte delle Forze dell’Ordine.
Va pensata anche una migliore individuazione di spazi cimiteriali dedicati ai musulmani (a Trieste esiste da secoli il cimitero musulmano).
4) Al fine di creare occasioni di inclusione, fondamentale è realizzare spazi per praticare le discipline sportive più comuni tra gli stranieri, su tutte il cricket, ma anche altre eventuali discipline. Il cricket rappresenta il secondo sport più praticato al mondo ed è disciplina olimpica. È proprio lo sport che – storicamente – ha sempre favorito l’integrazione tra le persone di diversa nazionalità, così come, va ricordato, lo sport si è diffuso anche attraverso le migrazioni (si pensi a ciò che è accaduto per il territorio nazionale e regionale ad esempio con il baseball, portato dai soldati americani durante la Seconda guerra mondiale). Per quando riguarda il cricket, in una prima fase può essere utile supportare la Federazione Italiana Cricket per organizzare delle manifestazioni sportive anche sul nostro territorio e, in caso di favorevole esito di questi tornei, puntare a realizzare un impianto.
5) Nell’ambito dei servizi sociali, proprio per le complessità legate alla presenza di un consistente numero di famiglie straniere, tendenzialmente (per ora) monoreddito, il territorio deve rivendicare un aumento della dotazione finanziaria a favore dell’Ambito socio-assistenziale Carso-Isonzo-Adriatico. Tali implicazioni vanno tenute in debita considerazione anche per le ricadute sui servizi socio-sanitari. Infine, vanno definitivamente abrogate tutte le norme discriminatorie verso gli stranieri relativamente alle modalità di accesso alle graduatorie ATER, ai contributi per l’abbattimento delle locazioni e per l’accesso alla prima casa (così come sono sempre più i tribunali che si stanno esprimendo in questa direzione).
6) Vanno sostenute e promosse iniziative di scambio e di conoscenza reciproca, ad esempio basate sugli aspetti culturali e culinari, anche attraverso corsi di cucina tipica gestiti dalle varie comunità e realizzati in italiano, in modo da far conoscere agli autoctoni gli aspetti tradizionali delle altre comunità e viceversa. Inoltre, potranno essere attivate collaborazioni fra le comunità di stranieri con radicate realtà e associazioni del territorio, per condividere: corsi sull’uso e la manutenzione della bicicletta e, successivamente, biciclettate ed escursioni di gruppo alla scoperta del territorio; il dono del sangue, attraverso una campagna puntuale rivolta agli stranieri, divenendo anche questo uno strumento di inclusione attraverso il gesto del dono. Allo stesso modo, anche i negozi etnici potranno essere integrati nel nostro tessuto commerciale storico e nell’associazionismo collegato, affrontando in maniera puntuale e pragmatica alcune questioni di attualità, come i corsi sulle normative in materia di igiene.
7) Riteniamo doveroso che le istituzioni locali attivino un’interlocuzione con lo Stato del Bangladesh, intessendo relazioni frequenti e concrete per meglio rispondere alle reciproche esigenze della comunità che accoglie e dei migranti. Ambasciatore e Console dovranno divenire interlocutori costanti delle istituzioni del FVG (e dello Stato italiano).
8) Infine, è opportuno che le istituzioni (e in particolare la Regione e, nello specifico, la Direzione centrale che si occupa di politiche migratorie) commissionino con urgenza uno studio di natura sociologica ed etnoantropologica su Monfalcone, con analisi quantitative e qualitative, che servirà a fotografare la realtà presente e sarà un indispensabile strumento di lavoro per gli amministratori e legislatori di oggi e di domani.
Enrico Bullian
Diego Moretti
Consiglieri regionali FVG