Serve un piano di serenità

Ricorre l’idea che siamo alle prese con una “minaccia” continua: ai valori che regolano la convivenza civile, al modo di concepire la famiglia, alla vita quotidiana, al lavoro più precario, alla relazione tra sessi, alle religioni, al futuro che ci attende. Ci sentiamo circondati da nemici, intrappolati, non si sa da chi o da cosa con certezza. La comunità sbiadisce, la fiducia cala, ci sentiamo più fragili.
È vera la sensazione di gravità: ci sono crisi climatiche e guerre sulla porta di casa di cui non si vedono soluzioni. È vera la sensazione di amarezza e di impotenza che ci spinge ad allontanarsi dalla sfera pubblica per concentrarsi nella propria realtà, dentro una cornice più piccola, dove si conoscono i punti di riferimento, dove si pensa di trovare la sicurezza. Ma questi punti di riferimento sono un’illusione, fanno galleggiare dentro l’isola felice che esiste solo nella propria testa, distante dalla realtà.
Ne è un esempio la città di Monfalcone, polo produttivo industriale che partecipa a processi epocali complessi che non si possono fermare, che necessitano di un governo, e allo stesso tempo sente il peso delle difficoltà: il mancato ascolto, la mancata contrattazione, la gestione unilaterale hanno alimentato il malessere.

Un terreno fertile dove è stata scatenata, in modo irresponsabile, la “strategia della paura” da persone e partiti con limiti culturali e politici impregnati di ideologie, che si sostengono creando nemici facilmente visibili.

Una dichiarazione di guerra verso la grande industria, in particolare Fincantieri, che è stata la speranza di tanti per cent’anni, ora indicata come una fabbrica che crea problemi; verso i lavoratori, additati come responsabili perché accettano paghe basse; verso i figli nati in Italia da genitori stranieri (lavoratori cercati dalla nostra industria) perché sono troppi nelle scuole; verso i giovani, nostri figli e nipoti, indicati come fastidiosi e rompiscatole, allontanati dagli spazi pubblici; verso gli anziani a cui hanno levato le panchine in piazza, mentre a Gorizia hanno fatto un concorso internazionale per scegliere le più belle.

Alla dichiarazione di guerra corrisponde poi il vanto di aver raddoppiato i tempi per i ricongiungimenti familiari: si vantano di fare del male alle persone.
Paure, paure, e allora inferriate, portoni, telecamere, divieti e alle 18 il coprifuoco per un controllo dall’alto, l’applicazione “democratica” utilizzata nella strategia della tensione negli anni 60/80, quella del tanto peggio tanto meglio. Ieri come oggi: violenza e macerie.
È un taglio netto con la storia degli ultimi cento anni, fatta di vita di comunità, di partecipazione, di accoglienza, di solidarietà, speranza e riscatto: questa è stata Monfalcone, un esempio di valori.
La gente è stanca di nemici e di una previsione di futuro senza speranza. Siamo dentro a grandi tematiche in evoluzione quali il lavoro, la migrazione dei lavoratori, la questione energetica e la transizione che creano incertezze e timori.
C’è tanto bisogno di una politica che ci aiuti a riconoscere le difficoltà, che ci aiuti a superarle, che superi il clima di diffidenza verso la diversità, trasformandola da minaccia a occasione per fare un passo avanti.
Nella classifica delle paure, penso comunque che al primo posto ci sia la paura di ammalarsi, e questa cresce con la sensazione di peggioramento della sanità pubblica. Dopo il Covid si è visto uno smantellamento del servizio pubblico sanitario. Un medico di base che va in pensione è prevedibile, la mancata sostituzione è una mancanza di attenzione, una scelta. Anche le mancate risposte positive alle richieste e necessità degli operatori della sanità sono precise scelte.
Viviamo in una realtà dove le conseguenze dell’esposizione all’amianto sono state e continuano a essere drammatiche, gli esposti sono soli con la paura dentro. Ma la scelta è non parlarne, e quindi non si attuano azioni per la prevenzione nell’esposizione dei materiali sostitutivi. La paura di ammalarsi ce l’hanno tutti, ma la politica parla d’altro. Insomma, la salute è la vera emergenza locale e nazionale che richiede un piano di serenità per rigenerare le comunità.

Per una sanità che funzioni serve un concerto di azioni che siano in grado di offrire servizi sanitari strutturali, ascoltando, con le orecchie da elefante, gli operatori di categoria, il capitale umano e le fasce più deboli: loro sanno dare le dritte senza sprechi.

Luigino Francovig

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