Riscriviamo la narrazione della città

 

 

La democrazia si basa su alcuni pilastri fondamentali, uno dei quali ovviamente è il voto dei cittadini che in questo modo esprimono il krateo (comando) del dêmos (popolo). L’esercizio del voto però, da solo, non è sufficiente per esprimere compiutamente la volontà popolare. È necessario che il voto sia espresso in modo libero, privo di condizionamenti, consapevole e informato.

In altre parole, è indispensabile che chi vota sia messo nelle condizioni di comprendere quali siano le cose per le quali sta votando, e comprendere bene il reale messaggio inviato da chi si candida, avendo la possibilità di conoscere a fondo gli argomenti e soprattutto i fatti citati dai candidati e sui quali intendono basare il proprio consenso.

E qui entra in gioco la correttezza delle informazioni che vengono diffuse, l’effettiva libertà degli organi di informazione (tra l’altro l’Italia è attualmente al 46° posto nel mondo per la libertà di stampa secondo il Rapporto 2024 di Reporter Senza Frontiere – dietro a Lettonia, Uruguay, Burkina Faso, Corea del Sud). Proprio perché in un clima di precaria libertà di informazione, diventa molto importante il modo nel quale viene impostata la narrazione che ciascun soggetto politico fa del proprio operato, dei propri progetti, dei propri esponenti.

Se uniamo una stampa poco libera e poco capace di visione critica a una narrazione manipolata e distorta, ecco che il nostro voto diventa sempre meno espressione di una vera democrazia.

I meccanismi che possono essere messi in atto per produrre una narrazione faziosa sono tutto sommato abbastanza semplici e si riassumono nel cogliere di un fatto o di una frase solo una parte. Raccontare solo una parte di una notizia, senza citare le cause che l’hanno prodotta. Enfatizzare un fatto particolarmente odioso senza indicare ciò che lo ha provocato, che può essere più odioso ancora ma che è scomodo per il narratore. Esaltare all’infinito un singolo episodio per suggerire che questa sia la regola per qualcuno che si vuole denigrare. E poi, naturalmente, giustificare sempre i propri errori attribuendoli a cause di forza maggiore o a soggetti terzi, meglio se appartenenti all’opposizione; al contrario, ingigantire ogni minimo errore degli avversari, o addirittura costruire un racconto denigratorio basandosi su un episodio che di per sé non sarebbe degno di nota.

Gli esempi a Monfalcone non mancano di certo. Il caso più eclatante è stato quello dei centri culturali islamici, strutture assolutamente regolari, alle quali l’Amministrazione ha contestato il sovraffollamento, problema che si sarebbe potuto risolvere a livello di Ufficio tecnico, per poi definirli “moschee” e iniziare una crociata contro la comunità bangladese improvvisamente trasformata in “minaccia islamica”. In questo contesto, cifre e fatti riguardanti la realtà locale venivano abilmente mescolati con dati generali a livello nazionale, ogni comunicazione della comunità islamica veniva letta nel peggiore dei modi e ingigantita per cercare di sollevare la comunità monfalconese contro i cittadini di origine asiatica a puro scopo propagandistico.

Gli esempi di manipolazione dell’informazione nei confronti della comunità musulmana si sprecano, e fanno leva su un principio estremamente divisivo che l’Amministrazione comunale ha voluto introdurre nella generale discussione e cioè che la comunità bangladese è il nemico.

Ma la disinformazione non finisce certo qui. L’Amministrazione comunale, allo scopo di denigrare l’opposizione, e più nello specifico “quelli di prima”, ha dichiarato che nel 2016 la pressione fiscale a carico di ogni cittadino era pari a 467 euro, mentre ora sarebbe scesa a 395 euro. In effetti sembrerebbe buona propaganda per la destra. Ma cerchiamo di capire meglio. Perché nel 2016 i cittadini pagavano più tasse pro capite di quante ne paghino nel 2025? Qual era la composizione della popolazione nel 2016 e qual è oggi? I cittadini immigrati sono aumentati del 40% con questa amministrazione, quindi sono aumentati del 40% i cittadini a basso reddito, che hanno un lavoro povero. Sono diminuiti i cittadini più abbienti, per ovvi motivi di età e in parte perché se ne sono andati. Quindi, essendo aumentata la percentuale di poveri, sono diminuite le tasse pagate perché i poveri pagano meno tasse. Perciò quello che l’Amministrazione comunale cerca di far passare per un successo, è in realtà l’emblema del loro fallimento. La notizia non è sbagliata, ma è messa in un contesto sbagliato, fatto apposta per far capir male le cose. Sì, le tasse pagate sono di meno. Non perché siete più bravi, ma perché avete impoverito la città. Questo è un esempio fra i tanti per capire le tecniche di manipolazione dell’informazione che creano consenso anche e soprattutto sui fallimenti.

Per poter votare bene è importante capire queste cose.

Un altro esempio di disinformazione piuttosto importante riguarda gli slogan che da anni vengono diffusi da questa amministrazione in merito alla discussione con Fincantieri alla quale, con “schiena dritta” e “battendo i pugni sul tavolo” viene chiesto “perentoriamente” di rivedere i “modelli produttivi”. All’immaginario collettivo si fa credere che grazie alle pressioni dell’ex sindaca dalla “schiena dritta” sia possibile cambiare l’ordine delle cose e fare in modo che non vengano più assunti cittadini stranieri in Fincantieri ma solo italiani. Cosa che non succederà perché non può succedere, per motivazioni tecniche che vanno ben al di là della retorica degli annunci.

Massimo Bulli

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