La memoria condivisa è una forzatura, perché ognuno avrà la sua sensibilità, la sua eredità, la sua visione della storia. Quello che deve esistere in un Paese normale, però, soprattutto a livello istituzionale è la valorizzazione di persone le cui gesta si armonizzano con i valori fondanti la nostra Madre Carta e i valori supremi dell’antifascismo, che ne costituiscono l’architettura.
Le vicende della Seconda guerra mondiale, che in parte furono anche una conseguenza della Prima guerra mondiale, che letteralmente hanno martoriato questo territorio, continuano non solo a dividere ma a creare semplicemente imbarazzo. Nella Prima guerra mondiale ci furono emigrazioni prima verso le terre austriache, da parte del popolo che fuggiva dall’esercito italiano, e poi verso le terre italiane, quando questa fetta di territorio venne conquistata dal Regno d’Italia e dopo la disfatta di Caporetto i “regnicoli” furono costretti a trovare riparo nelle terre del Sud.
Migrazioni e campi di prigionia che nella Seconda guerra mondiale assunsero connotazioni diverse, perché con l’Italia succursale della Germania nazista iniziarono le deportazioni e la soppressione di ebrei, oppositori politici, principalmente nel Monfalconese, antifascisti e tutti i “diversi” che non meritavano di essere considerati esseri umani degni di esistere. Non ci furono dunque solo gli ebrei e nel Monfalconese i deportati politici furono centinaia e purtroppo tanti non fecero ritorno.
Nel corso della storia vi è stata un’evoluzione continua nella rappresentazione del ricordo. Dalle lapidi agli ossari, dai cippi alle opere monumentali, per arrivare alle pietre d’inciampo, ideate e realizzate dall’artista tedesco Gunter Demnig in memoria di cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa è partita nel 1995, a Colonia. In tutta Europa oggi si contano più di 27mila “pietre” in Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi e anche in Italia. Le prime pietre d’inciampo posate a Colonia non riguardarono gli ebrei, ma mille tra sinti e rom deportati nel maggio del 1944, a significare la pluralità della memoria.
Sicuramente non si può e non si deve fare una selezione fra chi può essere ricordato; una persona può essere ricordata nel monumento dedicato a tutti i deportati e pure con la pietra d’inciampo, dire che una cosa esclude l’altra è incomprensibile, ingiustificabile e suscita, più che indignazione, semplicemente imbarazzo. Imbarazzo che conduce in un vicolo cieco dal quale non si può più tornare indietro; quel diniego francobollato rimarrà nella memoria storica divisa di questo nostra storia del confine orientale, a prescindere dai passetti indietro, dalle capriole politico-istituzionali per cercare di tappare delle falle oramai incontenibili.
Per scrivere un nuovo corso politico a Monfalcone è imprescindibile ripartire dalla storia? Non solo, ma anche dalla storia. Sì, è vero, che ci sono altri problemi, ma la memoria storica è la base su cui si poggia il nostro mondo.
A Monfalcone si è resuscitata l’anacronistica valorizzazione di D’Annunzio per celebrare la presa di Fiume. Atto però che fu eversivo e portò alla morte anche di carabinieri e alpini che agirono per conto del Regno d’Italia per liberare Fiume dagli occupanti dannunziani. Mentre si è assopita la valorizzazione della memoria storica antifascista.
Se si vuole non cambiare pagina, ma scrivere un nuovo corso non ci dovranno essere più appigli per dire no all’intitolazione del piazzale della stazione di Monfalcone a Giordano Pratolongo, deputato della Costituente, la cui aggressione da parte di fascisti a Monfalcone lo porterà a morte prematura.
Non dovranno più esserci imbarazzanti capitomboli storici sulle pietre d’inciampo.
Non si potrà negare un cippo ai disertori o agli antifascisti, come Giuseppe Nicolausig e Dioniso Rizzardini, operai uccisi dai fascisti in via IX Giugno la sera del 7 ottobre 1921.
Se tutto ciò non avverrà, con il nuovo corso politico di centrosinistra, se non ci sarà discontinuità con il “presente”, si commetterà un grave errore che non potrà avere comprensione politica; ma siamo certi che prevarrà il buon senso e che a Monfalcone nel 2025 si ripristinerà finalmente quella normalità che è decisamente mancata in questi anni.
Marco Barone