Osservando Monfalcone appare evidente come mai prima d’ora la nostra comunità abbia subito una tale pervicace attività di occupazione materiale e ideologica.
Non accadde ai tempi dei podestà Bruno Coceani, con la sua “rinascita di Monfalcone”, e Giuseppe Dolazza, con il suo “biscotto”, e nemmeno ai tempi del sindaco Amelio Cuzzi, che fece di tutto per erigere sul suolo cittadino quel monumento ai legionari dannunziani che nemmeno il vicino comune di Ronchi aveva voluto.L’occupazione pervasiva che viviamo oggi pare andare bene a molti. Ma non a noi.
Perché a noi, piccoli giornalisti neofiti e amatoriali, piace leggere, studiare, approfondire e indagare… Per poi informare. E così emergono i documenti; così gli atti e le delibere evidenziano precisi significati; così le decisioni assunte da questa amministrazione compongono un quadro definito e il pensiero sottostante appare chiarissimo.
Alcuni esempi? Ecco un elenco dei più evidenti (e già piuttosto noti…).
- La deliberata esclusione degli organi statutari dal processo decisionale (consiglio e commissioni sono ridotti a mere conferenze stampa).
- L’assoggettamento dei consiglieri di maggioranza (firmatari del patto di fedeltà) e degli assessori (ex lege) al volere indiscutibile del Sindaco.
- L’ingerenza nella libertà di pensiero delle associazioni cittadine (che mai possono criticare).
- La volontà di sottomettere gli organi consultivi al pensiero della giunta (si veda la volontà di modificare il regolamento dei rioni).
- La limitazione dell’informazione (vi ricordate dei quotidiani?) e la “pressione” sull’istruzione (vi ricordate gli “insegnanti di sinistra”?).
- L’assoggettamento della stampa locale (la pagina monfalconese del nostro quotidiano spesso è occupata solo dai comunicati che arrivano dal Municipio… Per limitarci a questo aspetto).
- Gli “strani bandi” sulle emittenti televisive locali (ci torneremo a breve, tranquilli…).
- L’uso monopolistico dei canali social del Comune (appannaggio esclusivo del Sindaco).
- L’intitolazione forzata di luoghi pubblici già esistenti e dotati di un loro nome.
- L’apposizione di targhe commemorative in ogni dove (e tutte legate da un comune denominatore…)
- Il compulsivo richiamo a trascorsi storici che poco o nulla hanno lasciato in città.
- La chiusura dei luoghi pubblici (che perdono la loro funzione di “luoghi ad uso comune” per diventare “luoghi ad uso esclusivo”, magari solo in orario serale, ma comunque esclusivo).
- La limitazione del libero utilizzo degli spazi verdi (assoggettati a norme speciali e vincolati a procedure burocratiche).
- La saturazione dell’attenzione pubblica con informative di poco o nullo significato (profluvio di progetti milionari tutti in divenire, scadenze di lavori prorogati sine die, fiorellini, concorsi di bellezza per comuni, punti più a nord, cantieri più grandi, turisti come fossimo a Venezia… e via andando).
- L’intestarsi meriti che nulla hanno a che fare con l’azione amministrativa comunale.
- Il puerile desiderio di “essere” sempre e comunque (siamo lì, siamo là, la nave deve venire qui, gli autobus devono stare qua, il centro culturale deve stare a Monfalcone, la scuola deve essere da noi, ecc.).
- Il continuo riferimento a presunte identità culturali (di cui nessuno è in grado di definire alcun connotato concreto).
- La pubblica derisione di qualsiasi pensiero non allineato (con gli organi di informazione spesso proni e compiacenti e senza alcuno spazio per il contraddittorio).
- La costante minaccia di abbandonare ogni consesso plurale non assoggettabile al proprio volere (vedi autorità locali, partecipate, mandamento, ecc.).
- La propensione al soliloquio (si limita lo spazio di parola all’opposizione, ma nemmeno la maggioranza può dire ciò che vuole: parla solo uno… anzi, una).
- La tendenza ossessiva a denigrare la precedente amministrazione e magnificare il proprio presente e futuro (“quelli di prima” hanno fatto le peggio cose; noi faremo le cose migliori).
- La costante ricerca del consenso su base individuale (ogni cittadino è un contatto diretto, e chi vuole può sempre mandare “un whatsappino al sindaco”… cit.).
- La necessità di addossare ogni misfatto e ogni colpa a un preciso nemico (ovviamente scelto con cura, perché sia semplice da gestire e facilmente identificabile…).
Insomma, avete capito. Ce ne sarebbero ancora molte… Ma per ora può bastare così. Abbiamo molto lavoro davanti a noi, davvero tanto. E lo faremo, perché si sa: una campana può suonare bene anche se le altre sono ridotte al silenzio… ma a lungo andare stufa.
Davide Strukelj