La retorica dell’odio e la necessità del dialogo interculturale

Ad un mese dai tragici eventi in Medio Oriente, ecco il primo episodio di violenza etnica a pochi chilometri dalla nostra città. Non un atto terroristico di matrice islamica, ma gratuita violenza di un cittadino italiano nei confronti di una quindicenne la cui colpa è di essere di origine pakistana.

Questo è il primo episodio di cui veniamo a conoscenza che per emulazione rischia di ripetersi. Al di là degli aspetti penali che riguarderanno il singolo, la responsabilità va inquadrata su un piano ben più ampio.

La destra che governa la nostra regione e in particolar modo la sindaca di Monfalcone da mesi sta conducendo la sua crociata contro la presunta islamizzazione, la corruzione dei costumi e delle tradizioni locali, impegnandosi in ogni dove a spargere un clima di odio e intolleranza nei confronti degli immigranti provenienti dal Bangladesh.

La storia ci è testimone che la retorica dell’odio, la propaganda discriminatoria e la manipolazione delle differenze etniche e religiose, se costantemente alimentate per scopi personali e politici, sono l’humus in cui mettono radici paura e odio che poi sfociano in disordini, portando talvolta a episodi tragici di conflitto e violenza. Ci basta ricordare il genocidio in Rwanda del 1994, dove la divisione artificiale tra Hutu e Tutsi è stata manipolata per fini politici, creando una polarizzazione che ha portato a un massacro. Una tragedia simile la vivono i Rohingya in Myanmar, dove la discriminazione etnica e religiosa ha portato a violenze, conflitti ed espulsioni di massa. La maggior parte rifugiati in Bangladesh. L’Europa stessa è stata testimone di episodi di violenza legati a tensioni religiose e sociali.

Monfalcone, come molte altre comunità in tutto il mondo, si è trovata di fronte alle sfide dell’immigrazione e della convivenza. Tuttavia, considerare gli immigrati l’unico problema della nostra città, alimentando l’odio e la discriminazione, non risolve i problemi sottostanti. Colpevolizzare una parte della comunità per le difficoltà economiche e sociali è una semplificazione eccessiva e inefficace della realtà. La Sindaca Cisint sta coprendo i suoi fallimenti nel governare una città multietnica mentre conduce la sua crociata contro l’islamizzazione de Panzan.

È indubbio che i piani industriali di Fincantieri hanno generato una massiccia immigrazione a Monfalcone. Una conseguenza diretta delle politiche di flessibilità e contenimento dei costi. La città si trova ora ad affrontare i costi sociali di questa immigrazione che non possono essere imputati agli immigrati, bensì al modello economico che ha creato questa situazione. La bassa produttività del sistema economico locale e la perdita di competitività del sistema paese sono anche il risultato di politiche del lavoro che hanno posizionato l’intero paese e Monfalcone nelle posizioni più basse delle classifiche europee e internazionali.

È fondamentale riconoscere che la diversità culturale è un arricchimento, non una minaccia. La promozione del dialogo interculturale, dell’educazione antirazzista e dei valori di tolleranza e rispetto è essenziale per costruire una società inclusiva.

La responsabilità di combattere la retorica dell’odio e della discriminazione ricade su ciascuno di noi. Dobbiamo opporci a queste ideologie divisive e sostenere un impegno globale per l’educazione, il dialogo e la promozione dei diritti umani. Solo attraverso la comprensione, l’accettazione e il rispetto reciproco possiamo costruire il nostro piccolo mondo in cui tutte le persone, indipendentemente dalla loro origine, possano coesistere e prosperare. Il cammino verso un futuro migliore e più giusto per ognuno di noi e per le future generazioni non può passare per la ricerca del nemico di turno e la vittoria su di esso.

Diciamo basta a logiche di contrapposizione, basta ai linguaggi violenti e discriminatori. Noi cittadini di Monfalcone vogliamo vivere in pace.

Gianluca Nocera

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