Non poteva capitare in un momento migliore, dal punto di vista elettorale, la notizia dell’arresto a Monfalcone di un giovane di origine turca coinvolto in un gruppo di persone, sparse sul territorio nazionale, che avrebbero inneggiato all’estremismo più radicale e che avrebbero costituito un’associazione con finalità eversive tanto da giustificarne l’arresto.
La stampa locale naturalmente non ha perso l’occasione di amplificare la notizia. Per una persona arrestata a Monfalcone su un totale di cinque sparse in tutta Italia, il titolo è stato “Gruppo pro Isis a Monfalcone”, non senza la pubblicazione di una foto, non direttamente collegata al contesto, nella quale appaiono alcune donne velate e vestite di nero armate di fucili, un’immagine che richiama molto da vicino la copertina di un libro di propaganda pubblicato l’anno scorso dall’allora sindaca, in margine alla campagna elettorale che l’avrebbe portata al Parlamento europeo.
Su quale sia la effettiva pericolosità di queste persone bisognerà attendere l’esito delle indagini. Tuttavia questo episodio è sicuramente una boccata d’ossigeno per l’asfittica propaganda della destra locale, dopo che un comunicato della Questura ha reso noto che il fenomeno delle “spose bambine” a Monfalcone – evocato con tanta veemenza (e cavallo di battaglia nella propagande elettorale) dalla ex sindaca come una piaga devastante – in realtà si limitava a due casi in dieci anni, sicuramente da condannare ma evidentemente non rappresentivo di un’emergenza su larga scala.
Però su questo tema vale la pena di fare qualche riflessione. La destra ha sempre utilizzato gli immigrati come capro espiatorio di tutti i mali, in particolare gli immigrati di religione musulmana. Non serve ricordare ad esempio con quanto accanimento la ex sindaca di Monfalcone si è scagliata contro la comunità bangladese negli ultimi anni.
Ora varrebbe la pena di fare qualche considerazione sulle conseguenze di questi comportamenti. A quanto apprendiamo dalla stampa, il gruppo estremista sarebbe stato formato da una ragazza di 22 anni di Bologna, immigrata di seconda generazione come quasi tutti gli altri componenti. Questo è un particolare molto importante, perché stiamo parlando per l’appunto di immigrati di seconda generazione che si radicalizzano. Perché questo succede? I loro padri sono venuti qua a lavorare, si sono con fatica integrati, o almeno cercano di farlo. I loro figli o i loro nipoti però vivono un disagio diverso e talvolta arrivano a “radicalizzarsi”: perché?
Questo è un fenomeno che potrebbe somigliare a quanto accade nelle banlieue francesi (non solo nelle periferie di Parigi ma più genericamente nelle aree suburbane di diverse città, intese come dimensione politico-sociale), dove parte della popolazione è composta da immigrati provenienti dalle ex colonie, Algeria, Marocco, Africa Francese. Queste periferie sono caratterizzate da alto tasso di disoccupazione e mancanza o scarsità di servizi e assistenza sociale. Qui nascono momenti di ribellione, di protesta e di radicalizzazione che hanno portato anche a eventi tragici. Spesso è uno stato di disagio ed emarginazione che sfocia nella violenza. È un fenomeno studiato da anni e per il quale lo stato francese ha investito enormi risorse senza al momento trovare soluzioni. Un giornalista francese ha riassunto il fenomeno con una frase emblematica: “si sentono umanità in surplus”.
Ora mi sembra che qui in Italia stiamo cercando di replicare il fenomeno. Quando gli esponenti della destra, in primis la ex sindaca, rimproverano alla “sinistra” (categoria nella quale rientra chiunque non sia di destra) di sottovalutare il fenomeno, in effetti non dicono una cosa del tutto sbagliata, ma vanno a individuare i soggetti sbagliati. Perché quando gli immigrati vengono trattati da cittadini di ultima categoria ne soffrono e alla lunga si ribellano. Perché quando dei giovani, nati in Italia, vengono discriminati solo perché di diversa religione o di diverso colore della pelle e vengono fatti sentire stranieri nella terra in cui sono nati, vivono un disagio che per noi è difficile comprendere. Sin da bambini devono comprendere che, pur essendo nati nello stesso luogo dei propri compagni di scuola o dei loro amici, non hanno gli stessi diritti, non godono della stessa considerazione, vengono discriminati, ghettizzati. Umiliati. Ci chiediamo mai cosa significhi sentirsi così?
Nella nostra Monfalcone abbiamo visto l’Amministrazione scagliarsi in ogni modo contro la comunità islamica, in particolare la comunità bangladese, cercando di chiudere le loro associazioni, privandoli dei luoghi di culto, financo scagliandosi contro le loro biciclette, unico mezzo di locomozione per migliaia di persone che non guidano o non possono permettersi un’automobile.
La destra nutre la propria propaganda di nemici e di pericoli. Cerca di deumanizzare queste persone per farle diventare numeri da citare nelle statistiche. Ma sono persone, e come tutte le persone hanno una propria dignità.
Pensiamo a quanta rabbia possono arrivare a provare queste persone. Rabbia, sconforto, disperazione, ma poi magari anche odio. Alla lunga, a forza di seminare odio, si può arrivare a raccogliere odio.
Se da un lato sarebbe corretto ridimensionare i fatti, senza ingigantirli a scopo di propaganda elettorale, in attesa del lavoro degli inquirenti e della magistratura, dall’altra la destra dovrebbe assumersi delle responsabilità, evitare l’insensata propaganda e i comportamenti esaltati e scriteriati che hanno caratterizzato gli ultimi anni di amministrazione. E che vanno al di là delle chiusure dei luoghi di culto e della guerra alle biciclette, Uno in particolare va citato perché mi sembra sia sfuggito ai più. Presso la biblioteca comunale di Monfalcone si trovano spesso gruppi di adolescenti, molti di origine bangladese, che non entrano quasi mai in biblioteca, ma si attardano nei pressi per usufruire del wi-fi gratuito e per accedere ai distributori automatici di bevande. A volte danno fastidio perché sono rumorosi e così l’amministrazione comunale, almeno per un periodo, aveva posto all’ingresso una guardia giurata con il compito di tenerli a bada. Un’amministrazione comunale con un senso del futuro, con un senso di comunità, con un atteggiamento positivo verso l’integrazione e l’armonico sviluppo della comunità nel suo insieme, avrebbe potuto incaricare dei mediatori culturali per cercare un dialogo con questi ragazzi e magari farli entrare nella biblioteca. Invece si è assunta una guardia per tenerli fuori. Credo che questo dica tutto sul nostro passato, sul nostro presente e, se le cose non cambieranno, anche sul nostro futuro.
Massimo Bulli