Da tempo il termine “Sinistra” è oggetto di discussione da due punti di vista.
Il primo è quello di chi sostiene che “destra sinistra” non ha ragione di esistere, svuotato dalle condizioni oggettive, priva di alternative, quella costituita dalle dinamiche dei mercati, un diritto naturale che sta sopra alle diversità di visioni del mondo. Non credo sia così, nella realtà di ogni giorno le posizioni sono radicalmente opposte: sui diritti civili, su quelli sociali, sull’ambiente, sull’accoglienza. Va preso atto che l’egemonia di pensiero ha colpito le forze di sinistra italiana ed europea, che hanno subito. Una secondo punto di vista è quello di chi ritiene che la “Sinistra” ha radici nella storia, con una sua identità rigida, con una forte spinta rivoluzionaria, e questa vitalità va sempre interpretata. Questa visione è condivisa da forze e associazioni che non sono mai riuscite a mobilitare una “massa critica”, né definire una piattaforma comune. In Italia si contano oltre una ventina di partiti, partitini, che si richiamano alla “Sinistra” in forme diverse, alle volte in contrapposizione tra loro, per differenze percepibili solo dai gruppi dirigenti o dalle rispettive tifoserie. Per uscire da questo pantano dell’utilizzo della parola Sinistra fino a soffocarla è opportuno “liberarla”.
Per chi, come me, ha vissuto la maggior parte della propria esistenza nel secolo scorso, il termine “Sinistra” ha trovato riferimenti precisi non tanto nell’ideologia, quanto nelle esperienze collettive che operavano, lottavano, a partire dal mondo del lavoro, con forti riferimenti ideali, per migliorare l’emancipazione dei ceti più deboli ed emarginati in un progetto di allargamento e di arricchimento della democrazia puntando sulla dignità e sulla qualità del lavoro, della piena occupazione. In questo senso si identificava come parte politica e sociale nell’ambito di una dialettica e conflitto tra interessi diversi e contrapposti, un modo per spostare i rapporti di forza nella società. Eravamo soggetti sociali identificabili e notevolmente uniti. La progressiva accelerazione dell’egemonia del liberismo su scala mondiale della produzione, della finanza, dell’economia, delle tecnologie, della comunicazione, ha modificato in modo radicale gli interessi e i riferimenti. Un percorso che non ha trovato resistenza. È cambiato totalmente il campo di gioco e il gioco stesso, il baricentro è passato dai soggetti alle condizioni che si sono create. Monfalcone ne è l’esempio, protagonisti nel mantenimento dell’apparato industriale, nel cambiamento con la IV ristrutturazione totale del cantiere navale, dei nuovi prodotti, le navi passeggeri, con la garanzia del futuro legata alla qualità del prodotto. Protagonisti e loro rappresentanti poi sconfitti, nel settore sociale con la parcellizzazione del lavoro, peggioramento delle condizioni e della sicurezza sul lavoro, la precarietà dei giovani, l’aumento delle diseguaglianze, l’indebolimento del welfare, le privatizzazioni, il peggioramento del sistema pubblico nelle funzioni vitali. Così come in quello ambientale con uno sfruttamento intensivo senza riguardo per le generazioni future. È su questo passaggio che le forze che si richiamano alla “Sinistra” hanno evitato il confronto, lo scontro. Si sono sottratti a un impegno, si sono auto-isolate. Sarebbero state necessarie l’umiltà di rinunciare a un pensiero ingessato dall’ideologia, la capacità di ricercare strumenti di partecipazione, di rappresentanza, di analisi e la volontà di aprirsi alla ricerca di nuove prospettive. Serve tornare in campo per partecipare al governo dell’evoluzione di questo passaggio epocale creando opportunità centrali, per costruire il futuro.
Luigino Francovig