Il Carso, il Porto e il nostro vivere in Comunità. Una riflessione.

 

Nel remoto nord-est italiano, il mare incontra il Carso, le falesie di Duino affrontano con coraggio le onde del golfo di Panzano, le acque dolci delle sorgive si mescolano alla salinità del mare.

Un luogo incantevole dove vivere.

La magia del Timavo, che sfocia in mare dopo pochi metri dalla sua sorgente sotterranea a San Giovanni in Tuba, rende magico e misterioso questo luogo.

Ho vissuto in queste zone frequentando il Carso e il mare, esplorando le sue grotte, vivendo del lavoro in porto.

Sì, sono stato speleologo e portuale, il giusto connubio di una vita vissuta in questi luoghi.

Qualche giorno fa, l’ennesimo salvataggio di una speleologa, mi rinfresca la memoria sul significato “dell’andar per grotte”, attività per i più incomprensibile, pericolosa e claustrofobica.

Ebbene è l’andar per grotte che ha scoperto il percorso del Timavo, che ha scoperto le risorse idriche nascoste nell’ipogeo, strutturato la geologia carsica, descritto ambienti altrimenti oscuri, messo alla prova la resistenza umane, ritrovato le tracce di presenze umane dimenticate, recuperato i corpi dei vari caduti delle due guerre. Oltre al turismo, nelle grotte avvengono studi e ricerche, il Geofisico di Trieste ha importanti laboratori sotterranei nelle cavità carsiche.

A tutto questo si aggiunge il mio personale percorso formativo vissuto in quegli anni, la dura messa alla prova di un adolescente, l’autocontrollo, il senso di “cameratismo” dove nessuno resta indietro, la gestione della fatica, delle paure, delle sfide. Il tutto accompagnato da una specifica ed approfondita preparazione tecnica, Nulla era lasciato al caso, tutto veniva affrontato, se non secondo le regole, comunque una soluzione si trovava, perché nella speleologia si DEVE uscire.

Con questa preparazione alla vita, incontro il Porto, un luogo di lavoro meraviglioso, fatto di fatica, cameratismo, forza, determinazione, intelligenza e tanta inventiva. Le navi vanno caricate e scaricate, presto, bene, e con economia, il ciclo non può fermarsi, comunque sia deve essere fatto.

Il Porto è la cerniera che collega terre lontane e offre riparo e servizi alle navi e alle loro merci, tutto deve funzionare, tutti i problemi vanno risolti.

Essere un portuale, uno “scaricatore di porto”, un “Camallo” come veniamo chiamati a Genova, è un onore per tutti quelli che ci lavorano e vivono di porto.

Pochi giorni fa l’ennesimo incidente, un Camallo schiacciato da una ralla, un altro gravemente ferito. Con la velocità del lampo, mi ritornano in mente i molti incidenti che ho visto in porto, i compagni caduti e i feriti soccorsi.

So che può sembrare strano, accostare la speleologia alla portualità, due mondi che paiono lontani e molto differenti, eppure, almeno per il sottoscritto, sono simili e s’intrecciano i saperi, nelle grotte o nelle stive.

In tutti e due i luoghi devi conoscere la portata dei cavi sulle navi e delle corde in grotta. I luoghi dove ancorare sé stessi o la merce. Quando e come calare o sollevare, te stesso o la merce.

Gli spazi possono essere giganteschi come l’immensità di una stiva vuota o angusti e soffocanti, umidi e scivolosi, sia nelle stive che nelle grotte.

Luoghi pericolosi, eppur ambedue frequentati, anche se per ragioni diverse.

I due incidenti non sono simili, i due luoghi sono diversi. Se uno frequentato per studio e l’altro per lavoro, la preparazione, l’attenzione deve essere massima in entrambi, eppure succede.

In un caso la morte ha falciato una vita, nell’altro caso la morte ha fallito.

Rimangono le conseguenze di questi accadimenti, il pericolo sempre in agguato di una distrazione.

Esistono protocolli, regole, attrezzature, professionalità che vengono investite in tutti gli ambiti della vita umana allo scopo di prevenire gli incidenti, ed è della collettività l’assunzione dei costi per recuperi, salvamenti, riabilitazione e cura degli infortunati.

Queste a mio parere, sono le basi di una società civile e solidale, una Comunità che aiuta, soccorre, cura, sostiene tutti i suoi membri, non chiede mai “Ma chi ti ha autorizzato a…”.

In primis cura le persone, poi attua tutte le riduzioni dei rischi possibili.

Se incominciamo ad abbandonare uno speleologo, un alpinista, un marittimo, come abbandoniamo in mezzo al mare un migrante, una persona povera, un affamato, un orfano…questa diviene una comunità incivile e disumana.

Ricordatevi quando accenderete una sigaretta, berrete l’ulteriore bicchiere, mangerete quel dolce di troppo, potreste essere voi quelli abbandonati.

Buon Natale e attenti al 2025!

Fabio Marchiò

 

Torna in alto