Fenomenologia di un ego di paese

Lungi dal voler risolvere un fenomeno come quello che si presenta davanti ai nostri occhi ormai da moltissimi anni, provo a formulare un elenco di comportamenti relativi a un caso umano piuttosto tipico: si tratta di una persona dotata di un ego troppo grande per stare in un piccolo comune di provincia, troppo ambizioso per fermarsi agli estremi confini di un piccolo mare e troppo autocompiacente per limitarsi a essere ciò che è, qualsiasi cosa esso sia.

Di seguito presenterò un elenco (purtroppo incompleto) di caratteristiche e di comportamenti che ho riscontrato nella mia piccola esperienza di osservatore ogni qualvolta mi sono trovato dinanzi a un siffatto personaggio.

Ovviamente chi volesse potrà integrare o contestare, come meglio desidera.

L’investitura popolare

Questo è il punto di partenza di ogni narrazione. Si rende necessario per mascherare l’ambizione dando all’operato una certa levatura morale. Più o meno suona così: “non faccio quello che faccio perché mi interessa raggiungere un obiettivo personale, ma solo perché me lo chiedete in tanti, e quindi davvero non posso dirvi di no!”.

Ecco dunque il ricorso ossessivo a frasi come “me lo hanno chiesto molti cittadini”, “ricevo quotidiane esortazioni a non mollare” oppure al gruppo di persone che costituiscono comitati di supporto (i cui siti e pagine social sono magari riconducibili alla stessa persona che contiene quell’ego), o ai (autoprodotti?) volumi fotografici che glorificano l’operato e che con straordinario sincronismo vengono recapitati a favor di stampa… E ancora, ai nugoli di like sui social, la maggior parte riconducibili a profili dubbi, appartenenti a persone residenti lontano (e dunque sconosciute ai più), alle foto con seguaci adoranti al seguito, a un presenzialismo ossessivo, eccetera.

Il gergo militare

Come motivare un sincero attivismo se non con discorsi fortemente centrati sull’azione, sulla determinazione, sullo stato d’eccezione dovuto a straordinari fenomeni storici e sociali; come pretendere obbedienza e abnegazione se non attraverso l’evocazione di uno stato di emergenza continua che mette a rischio l’incolumità e la sicurezza di tutti?

Ecco allora che ogni discorso, ogni intervento, i post sui social, insomma ogni forma comunicativa è completamente pervasa da parole quali battaglia, difendere, guerra, invasione, trincea, oppure da celebrazioni di una ostentata determinazione secondo la quale “non molliamo mai” e “non indietreggiamo di un solo millimetro”. Il conflitto diviene il teatro di ogni discussione e le azioni, anche quelle più severe, sono rese necessarie dallo stato di emergenza: la difesa della sicurezza viene prima di tutto!

L’identificazione di un nemico

Questa è una classica componente di ritorno, ovvero ben utilizzabile quando si rende necessario riaccendere l’attenzione e rinsaldare le fila dei proseliti. Si tratta di uno strumento tra i più classici della propaganda politica, funziona sempre e riesce a coalizzare anche persone tra loro diverse, grazie al richiamo del pericolo collettivo.

La narrativa è ricchissima di nemici identificati e poi dimenticati quando un nuovo impulso si rende necessario. Ne ricordiamo solo alcuni tra i più famosi, quali gli stranieri, le grandi industrie, la sinistra, la stampa schierata, i poteri forti, l’Islam, i mitici “quelli di prima” e il modernissimo “politically correct”. Ne potete aggiungere voi quanti ne volete, basta che sia un nemico facilmente identificabile e il concetto rimane valido.

Le parole evocative

È altrettanto tipico l’uso di parole fortemente evocative, che però restano piuttosto generiche se mantenute, come volutamente avviene, totalmente decontestualizzate. Si tratta di una modalità che permette di “alzare il livello emotivo” senza dire praticamente nulla. Così, se si pronuncia la parola “sicurezza”, saranno tutti automaticamente propensi a sostenere e applaudire, anche se in concreto poi non verrà affermato assolutamente nulla: ciò che resterà nella mente dei presenti è che si è parlato di sicurezza.

Ecco allora il profluvio insistente di termini come coraggio, identità, forza, determinazione, per non parlare di locuzioni come “le nostre radici”, o di luoghi comuni quali “i nostri avi” e di immagini fortemente evocative quali la patria, la cultura, fino ad arrivare alla religione, alla storia e alle tradizioni.

Le informazioni riservate e importanti

Questo è uno straordinario esempio di modalità comunicativa, spesso usato quando non si ha molto da dire, oppure quando gli argomenti sono piuttosto banali, ovvero quando bisogna sostenere una tesi senza avere le necessarie dimostrazioni. Serve insomma a dare conto di un’attività precisa e dettagliata, che conferisce credito ad ogni opinione espressa… anche se in verità non dimostra proprio nulla perché spesso risulta inconsistente alla prova dei fatti.

Si susseguono così i semplici “cose che ora non vi posso raccontare, ma che vi dirò”, oppure il classico “ho ricevuto documenti che non posso divulgare e che dimostrano bla bla bla…” e ancora “durante un recente incontro abbiamo discusso di importanti argomenti che vi spiegherò”. Naturalmente nulla verrà mai spiegato e raccontato, ma l’effetto istantaneo rimarrà quello di rendere assolutamente fondata qualsiasi conclusione, anche se le premesse da cui deriva sono state regolarmente taciute o non esistono proprio.

L’apripista

Questo è un elemento fondamentale, serve a evitare la percezione di autoreferenzialità e a produrre intorno al personaggio in questione un alone di importanza e competenza fuori dal comune. Passa tipicamente per un figurante, di solito abbastanza conosciuto e che riesce a farsi percepire come neutrale rispetto all’ego in questione.

La presentazione comincia con toni pacati e quasi rassegnati per poi prodursi in un crescendo epico e coinvolgente. La descrizione del personaggio di cui trattiamo diviene via via più enfatica, fino a raggiungere vette mistiche e concludersi con il più classico dei messaggi messianici: “solo questa persona ci può salvare!”.

Naturalmente vanno toccate tutte le caratteristiche personali e cognitive più importanti, dalle competenze tecniche, alla capacità organizzativa; dalla leadership alle conoscenze personali; dalla cultura alla sensibilità e all’empatia. Tutto deve concorrere a formare un’immagine dettagliata del capo ideale, un cavaliere senza macchia e senza paura pronto a immolarsi per il bene di tutti e a combattere il nemico che vorrebbe soggiogare tutti noi.

Naturalmente si potrebbe continuare a piacere, la letteratura è piena di questi riferimenti… ma non lo farò, altrimenti poi non è più divertente.

Post scriptum

Questa breve e sintetica descrizione vuole fornire un profilo archetipico, che ogni lettore può attribuire a qualsiasi personaggio storico o attuale, e che non fa riferimento a nessuna persona specifica. Ovviamente…

Davide Strukelj

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