Dei proclami sindacali (ovvero delle ciacole del Sindaco)

 

A scanso di equivoci, premetto che non ho alcun interesse nell’ascoltare le dirette, le conferenze stampa, le comparsate televisive e radiofoniche o qualsiasi altra forma di esternazione del pensiero del Sindaco di Monfalcone. Anzi, penso che tutti i concetti ivi contenuti siano delle enormi ca…volate.

Però non posso nascondere che ho ascoltato alcune di queste registrazioni, un po’ per senso di responsabilità verso il ruolo che rivesto (quello di Consigliere comunale, ma ancora prima quello di cittadino monfalconese) e un po’ perché indirizzato in tal senso dalle richieste di amici e colleghi.

Mi corre dunque il dovere di commentare quanto asserito dal Sindaco o, quanto meno, di fornire una mia opinione sui contenuti, giacché sui modi preferisco soprassedere.

La prima considerazione è che molto spesso i dati forniti e le notizie riportate non trovano alcuna conferma nei numeri e nei contenuti, se questi vengono messi alla prova dei fatti. Mi spiego meglio. Quando il Sindaco riporta i numeri di un certo fenomeno, succede che, se si interpella la fonte ufficiale per quel dato, si scopre che il numero reale non è affatto quello dichiarato dal Sindaco (e di questo abbiamo diverse prove “provate”). È evidente che il numero aumenta o diminuisce a seconda dell’utilità, ovvero della reazione che si vuole suscitare.

Questa prassi, già di per sé odiosa, è piuttosto grave perché presume la considerazione, da parte del Sindaco, che gli auditori siano dei rimbecilliti ovvero dei creduloni.

La seconda considerazione è che la ripetitività delle informazioni fornite rasenta il livello della pubblicità del Dash. Tutti sappiamo che “Dash lava bianco che più bianco non si può”, non perché l’abbiamo provato, ma solo perché abbiamo sentito ripetere questo slogan dieci milioni di volte. Chiaro, no?

Ecco allora la prima conseguenza delle due premesse: “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” (per la cronaca, questa è una citazione che spesso viene attribuita a Joseph Goebbels, anche se non esistono evidenze documentali in tal senso).

Volendo affinare un po’ l’analisi, bisogna arrivare ai cosiddetti bias cognitivi o, più semplicemente, difetti del ragionamento umano. Ma badate bene, il difetto di ragionamento non è insito in chi parla, ma è piuttosto nella mente di chi ascolta, che viene scientemente indotto a cadere nell’errore del pensiero.

Facciamo alcuni esempi.

La pars pro toto (significa una parte per il tutto). Questo è il più classico degli esempi e, nel caso di specie, si risolve tipicamente in “ci risulta che una bambina bengalese sia stata costretta ad un matrimonio non voluto, da cui deriva che i bengalesi adottano la pratica dei matrimoni combinati”. È facile capire che si tratta di un principio piuttosto antipatico, lo stesso per cui ci dà fastidio (in quanto italiani) di essere etichettati tutti come “mafia, pizza e mandolino”, o con la più mite “spaghetti, pizza e mandolino”.

Simile al precedente è il a dicto secundum quid (la generalizzazione indebita, ovvero la legge dei piccoli numeri), per il quale, ad esempio, poiché alcune donne musulmane circolano velate, allora tutte le donne musulmane circolano velate. No comment.

Il tertium non datur (ovvero il principio del terzo escluso). A Monfalcone si risolve tipicamente in “se sei musulmano, allora sei un integralista”, dando per scontato che non possano esistere musulmani moderati e non estremisti, ovvero che non possano esistere integralisti (di qualsiasi pensiero) diversi dai musulmani.

L’appello ad metum (l’appello alla paura con cui spaventare per le potenziali conseguenze negative di un particolare comportamento): a Monfalcone coincide con la sostituzione islamica… vi fa paura? Bene, sapete chi sono i responsabili, dunque sapete chi è il nemico.

La petitio principii (ovvero il ragionamento circolare) che da noi si palesa nel classico “non facciamo nulla per l’integrazione perché tanto non si vogliono integrare”.

Arriviamo poi al argumentum ad verecundiam (cioè, l’appello a un’autorità impropria, ovvero quando si cita una fonte che non ha competenze sulla materia in questione). Nel nostro caso l’esempio più frequente è la nota citazione di una “amica ginecologa alla quale un padre musulmano ha detto che con le nostre pance e le vostre leggi…” ecc., ecc. In questo esempio l’affermazione viene assunta a “dato di fatto”, come se la ginecologa (involontariamente) o il “padre musulmano” fossero esperti in demografia e sociologia (le nostre pance) oppure di giurisprudenza (le vostre leggi).

Naturalmente si potrebbe continuare per pagine intere perché lo stile narrativo utilizzato è ricchissimo di errori logici e strafalcioni di ogni tipo, però ci pare già abbastanza così e quindi, per adesso, ci fermiamo.

Noi non vogliamo negare che a Monfalcone esistano dei problemi e che la coesistenza di culture differenti generi delle potenziali “tensioni” e delle difficoltà nella gestione di una siffatta società.

Quello che vogliamo dire è che questa incalzante propaganda serve solo alla promozione di un ego irriverente e non aiuta in alcuna maniera a migliorare la vita dei monfalconesi (vecchi, nuovi, religiosi, atei o misti che siano, e che saranno).

Lavorare contro questa modalità di raccontare la città e di strumentalizzarne le particolarità è necessario.

Farsi abbindolare da questo tipo di racconti non è accettabile. Non più.

Davide Strukelj

 

 

 

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