Riceviamo e volentieri pubblichiamo il comunicato stampa del Partito Democratico di Monfalcone
Sostenibilità e coesione sociale, in un territorio fortemente industrializzato costituiscono la sfida presente e futura, sul piano dell’azione politica ed amministrativa, di Monfalcone e del suo territorio.
Chiunque banalizzi queste priorità o delegittimi gli attori in campo semplicemente crea un danno ulteriore ad un sistema fragile in continua evoluzione. Da questo punto di vista è giustificata l’affermazione che quest’area rappresenti un laboratorio che anticipa quella che potrà essere la sfida per il Paese nei prossimi anni.
Dobbiamo quindi porci la questione di come affrontare questa sfida non solo oggi, ma anche per gli anni a venire.
La prima riflessione che si può fare sulla situazione e sulle prospettive delle attività industriali insistenti nell’area monfalconese riguarda innanzitutto il confronto con l’attuale andamento dell’economia italiana ed europea: in un quadro economico generale problematico e pieno di incognite, nel monfalconese le attività metalmeccaniche in genere e le attività logistico-portuali, godono di una situazione in controtendenza, con una proiezione futura sostanzialmente positiva e stabile. Questo assetto industriale è anche frutto dei tentativi promossi in passato, per opera soprattutto del Consorzio Industriale, di diversificare l’attività economica egemonizzata dal Cantiere navale. Sarebbe però errato considerare queste diversificazioni come alternative o in conflitto con le attività cantieristiche: sono attività che si promuovono e si sostengono a vicenda in modo sinergico, soprattutto in termini di professionalità create e disponibili.
La presenza di una grande azienda non può essere sostituita semplicemente da un tessuto di piccole aziende perché quest’ultime hanno difficoltà a promuovere da sole livelli competitivi di innovazione e di ricerca; lo potrebbero fare più agevolmente se inserite in un contesto di sistema economico e industriale promosso dalle aziende più grandi.
La piccola e la media industria non sono quindi alternative alla grande industria, ma compartecipi: una delle debolezze strutturali dell’industria italiana è proprio la sporadicità di grandi industrie. Il lavoro povero di cui si parla in riferimento al cantiere va riferito alla parte retributiva non certo a quella professionale: l’attività di cantiere richiede adeguata professionalità nel campo metalmeccanico, dal lavoro manuale a quello intellettuale, data la complessità del prodotto nave.
Altra cosa invece sono i problemi legati al massiccio ricorso all’appalto da parte di Fincantieri: qui è corretto porre il problema nel confronto istituzionale con l’azienda, prima di tutto da parte delle Organizzazioni sindacali, perché è innanzitutto un terreno squisitamente di natura contrattuale, dall’altra da parte delle Amministrazioni, per i molteplici riflessi sociali che tale logica produttiva genera.
È doveroso sollecitare l’azienda, tanto più vista la sua natura pubblica, a ragionare insieme sugli effetti di tale modello innanzitutto per trovare dei correttivi alle distorsioni che tale modello genera da un lato sugli aspetti dei salari e della precarietà e dall’altro sui flussi migratori, della sicurezza e della “assorbibilità” del territorio: è logico ritenere che un confronto anche aspro su questi aspetti non possa prescindere da una logica di pianificazione preventiva e di verifiche periodiche.
Ripristinare a tal fine il Protocollo di legalità sarebbe utile se non addirittura esaustivo almeno per alcuni aspetti dell’intero problema. Potrebbe essere propedeutico all’apertura di un Tavolo interistituzionale che coinvolga finalmente Stato, Regione e Comune. Se Fincantieri è davvero una priorità nazionale lo deve essere anche Monfalcone per il Ministero dell’Economia.
Sul piano della coesione sociale bisogna partire da una condivisione di che futuro vogliamo per questo territorio: se vogliamo accettare la scommessa di contrastare un processo che nel Paese è ormai in atto da anni, ovvero di un andamento demografico negativo inesorabile che prelude ad un processo di impoverimento complessivo e quindi di decrescita per penuria di risorse umane (che l’attività economica comunque richiederebbe).
Monfalcone anche da questo punto di vista è in controtendenza rispetto al resto della Regione e del Paese: ritenere questo dato non come un’opportunità sulla quale lavorare per apportare urgenti correttivi, ma invece una situazione da rifiutare ci porterà ad un impoverimento progressivo e ad una progressiva insostenibilità della qualità dei servizi, quindi della qualità della vita, con il rammarico di aver perduto un’opportunità alternativa per paura del diverso, dell’alieno, mussulmano per giunta.
Il compito non è facile perché molte e complesse sono le politiche che vanno affrontate, da quelle della difesa e dello sviluppo delle attività economiche a quelle del lavoro, della formazione professionale, della disponibilità della forza lavoro, della dignità e della sicurezza del lavoro stesso, con espresso riferimento alla precarietà dell’impiego e delle basse retribuzioni, a quelle della qualità e quantità dei servizi che caratterizzano il welfare, l’abitabilità, la coesione sociale, l’accesso e il supporto alla formazione per le nuove generazioni.
Infine le richieste e le risposte delle Amministrazioni locali non possono prescindere da una sede vera di confronto con gli attori industriali ed economici e da una visione che non sia caratterizzata esclusivamente da una dimensione cittadina, ma invece territorialmente più ampia, evitando che gli effetti sociali dell’attività economica si generino e si concentrino invece in una piccola realtà sociale in maniera del tutto anarchica.
Solo in questo modo il disagio reale troverà risposte concrete, perché cavalcare la percezione di insicurezza non crea altro che mostri, utili certo in campagna elettorale ma difficili da gestire se si vogliono raggiungere risultati per tutti a medio lungo termine.
Gianfranco Pizzolitto e Lucia Giurissa