Opinioni a confronto

 

In questi giorni, la vicenda legata all’uso del niqāb  nelle scuole della nostra città ha decisamente provocato le reazioni di moltissime persone, chi a favore e chi contro.

Noi del Monfalconese abbiamo ricevuto diversi contributi in questo senso e abbiamo deciso di pubblicarne due, di opinioni opposte, in virtù di uno dei principi fondamentali del nostro giornale che si impegna da sempre a dare voce a tutti.

Ve li pubblichiamo di seguito, uno dopo l’altro.

Il velo integrale islamico non è un simbolo di libertà ma di regressione

Il velo integrale, quello con cui le donne celano se stesse, il proprio volto, il proprio sorriso, le proprie espressioni al mondo intero, è sinonimo di libertà? Non lo è.

Si tratta di un discorso sicuramente delicato, complesso nella misura in cui uno Stato può esercitare ingerenza nella sfera privata individuale. Si è sempre detto che un conto è la libera scelta della donna, un conto sono le costrizioni, ma tutto ha comunque, sia libera scelta, sia costrizione patriarcale, come fondamento il radicalismo religioso islamico.

Non si tratta qui di dover difendere alcuna identità fantomatica culturale europea cristiana o radici religiose che si oppongono a quelle islamiche. Perché nel mondo non esistono solo le religioni. Come sarebbe giusto bandire dai pubblici uffici, quali scuole, comuni, ospedali, palazzi di giustizia il crocefisso, sarebbe giusto bandire ogni ostentazione del simbolo religioso per non ledere la neutralità dell’ambiente.

La Corte europea dei diritti dell’uomo la strada la sta tracciando positivamente. «Una pubblica amministrazione può vietare all’insieme dei suoi dipendenti di indossare segni religiosi sul luogo di lavoro». Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’UE nel 2023 esprimendosi sul caso di una dipendente del comune di Ans, in Belgio, a cui nel 2021 era stato vietato di indossare il velo in ufficio per osservare il principio di neutralità. Un divieto di questo tipo, evidenziano i giudici, «non è discriminatorio se viene applicato in maniera generale e indiscriminata a tutto il personale dell’amministrazione e si limita allo stretto necessario». Altro caso è quello trattato dalla Corte EDU, Sez. II, 16 maggio 2024 (n. 50681/20) dove la Corte ha stabilito che, in una società democratica, può essere limitato o vietato l’uso di simboli religiosi da parte degli studenti in ambito scolastico o universitario, senza che ciò comporti una violazione del diritto garantito dall’Articolo 9 di manifestare le proprie convinzioni religiose. Ciò è legittimo nella misura in cui il divieto contestato è inteso a proteggere gli alunni da qualsiasi forma di pressione sociale e proselitismo; la Corte EDU ha ribadito che è importante garantire che, in conformità con il principio di rispetto del pluralismo e della libertà altrui, la manifestazione da parte degli alunni delle loro convinzioni religiose nei locali scolastici non assuma la natura di un atto ostentato che costituirebbe una fonte di pressione ed esclusione. La restrizione contestata può, quindi, essere considerata proporzionata agli obiettivi perseguiti, ossia la protezione dei diritti e delle libertà altrui e dell’ordine pubblico, e quindi necessaria in una società democratica.

Pertanto è certamente legale e legittimo vietare il velo islamico integrale con le sue varianti, ad esempio c’è chi usa l’espediente della mascherina anticovid per accedere nelle scuole o per poter lavorare nei luoghi pubblici; ciò però dovrebbe comportare anche la rimozione del crocifisso per salvaguardare il principio appunto di neutralità. Il divieto del velo pertanto è legittimo se avviene in determinati contesti.

In Italia si ricorre all’espediente dell’analogia delle ragioni di sicurezza, equiparandolo all’utilizzo del casco o ad altro mezzo idoneo a travisare il volto. Divieto che è ben affermato a Monfalcone ma che nelle scuole è inapplicabile e sicuramente non si può delegare questa scelta all’autonomia della scuola. Serve un chiaro e univoco indirizzo legislativo nazionale. Non può continuare a essere un mantra delle destre la battaglia del divieto del velo islamico integrale; se si vuole lottare per la salvaguardia dell’emancipazione femminile questa battaglia va sostenuta anche dal mondo opposto e alternativo alle destre, differenziandone i contenuti, gli approcci, i metodi, ma con il medesimo fine nella consapevolezza che le donne coperte integralmente con quel velo per ragioni religiose non sono espressione di emancipazione e di libertà, ma di regressione.

Non si tratta tanto di dire, non mi danno fastidio, ognuno può vestirsi come vuole. Non è questo il senso, non è una semplice questione di vestiario. Ci arriveranno da sole, si dice. Certo, ma tra quanti secoli? Intanto la situazione è decisamente peggiorata rispetto ai casi isolati di qualche anno fa, almeno dalle nostre parti.

I divieti, soprattutto se accompagnati da sanzioni penali, non sono mai stati una soluzione; ma se vengono inseriti nel giusto contesto laico e di neutralità e non nel contesto dell’illecito penale, secondo gli indirizzi tracciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che significa eliminare ogni ostentazione di simbolo religioso negli edifici pubblici, questa è certamente una strada percorribile.

Marco Barone

 

Il caso niqāb nelle scuole cittadine

Il caso niqāb nelle scuole cittadine è nato perché abbiamo una dirigente scolastica competente e coraggiosa che, trovandosi di fronte a uno dei tanti problemi legati alle diverse culture che compongono la società multietnica di Monfalcone, città in cui la politica chiacchiera, urla, proclama ma non risolve, ha preso una decisione importante, e lo ha risolto in modo encomiabile, con gli strumenti che sono propri della scuola, ovvero la comprensione e l’accoglienza.

Si trattava di alcune allieve dell’istituto Pertini di Monfalcone, che portano il velo comunemente usato in alcune comunità islamiche e denominato per l’appunto niqāb, che copre interamente il volto lasciando scoperti solo gli occhi. La scuola si è organizzata per consentirlo, sicuramente non prima di avere esplorato le possibili alternative, parlando con le allieve e le loro famiglie in maniera approfondita e professionale. Con ogni probabilità l’unica alternativa sarebbe stata quella di perdere le allieve, e siccome per la Scuola, quella con la S maiuscola, ogni allievo che abbandona la Scuola è una sconfitta per tutti, è stata percorsa l’unica strada possibile.

Un atto di coraggio non da poco da parte di una Dirigente che evidentemente nel proprio lavoro mette anima e cuore, e non solo competenze e burocrazia, perché, se all’interno dell’Istituto la cosa è stata accettata, era più che ragionevole aspettarsi qualche effetto collaterale se la notizia fosse trapelata.

E infatti, non appena la notizia si è diffusa, si è scatenata una feroce polemica, che ha avuto echi a livello nazionale. Le dichiarazioni sono sempre quelle: “Chi viene nel nostro Paese deve rispettare i nostri valori” (sempre questi valori, che non si sa mai bene quali siano), “Bisogna vietare il velo integrale per rispetto della dignità della donna” (evidentemente sbattere fuori da scuola cinque allieve per il loro abbigliamento sarebbe considerato rispettare la loro dignità), “Il velo offende i valori della nostra Costituzione” (quali? La Costituzione non prevede il rispetto delle persone quale che sia la loro religione?).

Ogni decisione presa nel tentativo di conciliare le esigenze di tutti rischia di essere attaccata da parte della Politica o, meglio, di certi politicanti che si ergono a Giudici, Moralisti, Insegnanti senza esserlo, Dirigenti scolastici in pectore. Non sanno amministrare il Paese, ma evidentemente si sentono in grado di dire la loro su come si conduce una scuola, il che ricorda il vecchio detto “Nessuna cosa è difficile per chi non deve farla”. Tuttavia la Scuola non fa politica, e non si può permettere il lusso di perdere tempo in chiacchiere, non può semplicemente perdere tempo, dovendo affrontare problemi contingenti ogni giorno, dovendo risolverli in tempo reale e nel migliore dei modi con i mezzi che ha. La Scuola è la prima linea, la linea di fuoco.

La Scuola viene lasciata sola di fronte a problemi che derivano da scelte, o non scelte, politiche ed economiche e deve risolvere il problema all’istante, con i mezzi che ha.

Ora, proporrei un ragionamento. Se le ragazze fossero state, per ipotesi, costrette dalla propria famiglia a indossare il niqāb, che secondo i benpensanti, perbenisti e politicanti vari rivela una mancanza di volontà di integrazione, allora è importante osservare che il fatto che delle donne musulmane vengano mandate a scuola è già di per sé un importantissimo passo verso la loro emancipazione, per cui è ragionevole pensare che il modo di pensare, per così dire, occidentale, per osmosi penetrerà nelle famiglie e favorirà l’integrazione dell’interno nucleo familiare. Se, come qualcuno ha detto, sono invece le ragazze stesse a voler mantenere il velo per una loro percezione di protezione, sicurezza o maggiore aderenza alle loro tradizioni culturali, è probabile, data anche la loro età adolescenziale, che prima di abbandonare il porto sicuro della propria cultura abbiano bisogno di sentirsi rassicurate ed accettate dalla cosiddetta civiltà occidentale perché se ne sono sentite rifiutate e credo che su questo ne abbiano ben donde. In entrambi i casi, le problematiche che esistono possono essere risolte solo con gli strumenti usati dalla Dirigente, comprensione e accoglienza.

Sentirsi rifiutate, additate, criminalizzate non aiuterà nessuno.

“Se non vogliono adattarsi rimangano a casa loro”, “Nessuno gli ha chiesto di venire qui” sono slogan di alcuni soggetti politici che hanno appena confermato un piano di immigrazione di 452.000 persone in Italia per motivi di lavoro, dal Nord Africa, dal Ghana e dal Bangladesh, e questi 452.000 lavoratori sono persone, non sono piccoli robot, sono esseri umani che vengono qui con le loro capacità, le loro competenze, le loro braccia ma anche con i propri sogni e le proprie speranze. E porteranno le famiglie, cresceranno qui i figli, porteranno qui la loro cultura ci piaccia o no. È grottesco pensare di importare lavoratori come fossero schiavi. E quindi i problemi di integrazione vanno affrontati seriamente.

Il lavoro che ha fatto la Dirigente va in questa direzione, accogliere e comprendere per far apprezzare un modello di civiltà verso il quale aprirsi, non una società che li rifiuta e li perseguita. Perché qui sono e qui resteranno e ne arriveranno altri, perché noi non facciamo più figli e quindi non abbiamo più giovani che forniscano forza lavoro. 452.000 giovani sono circa il doppio dei bambini che nascono in Italia ogni anno, ce ne vogliamo rendere conto?

Naturalmente questi ragionamenti vengono rifiutati da chi ritiene di poter gestire i problemi sociali con la motosega, in nome della difesa di presunti “valori identitari” delle “nostre tradizioni”. Se queste ragazze verranno espulse, assieme a tutti questi studenti stranieri che vengono rifiutati per motivazioni analoghe, cosa diventeranno queste persone? Abbiamo bisogno di creare nuovi emarginati? Ci vogliamo ricordare cosa nasce dall’emarginazione, e poi dal rancore e dalla rabbia? È questa la società che vogliamo?

Cito un amico: “Gli ostacoli alla convivenza e all’integrazione sono l’ignoranza, la supponenza, la manipolazione politica, la paura, l’invidia, la miseria umana. Penso che il niqāb sia ininfluente”. E ancora: “Alla fine ci rimettono i ragazzi e, nella fattispecie, le ragazze. Vengono alzati polveroni elettorali-politici, scontri e dibattiti, ci si schiera su cose molto intime e personali. La scuola ha fatto bene, ha rafforzato il principio di servizio e accesso al sapere, un diritto inalienabile per i giovani cittadini. Non sarà la presenza o assenza di un velo a minacciare la nostra Democrazia. Saranno la profonda stupidità e l’ignoranza a seppellirci”.

Il niqāb è un velo che copre il volto, può essere rimosso delicatamente con la comprensione e l’accoglienza. Molto più difficile rimuovere il niqāb che troppe persone hanno intorno al cuore o intorno al cervello.

Massimo Bulli

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