Con i fuochi epifanici si chiude il periodo delle festività ed è il momento in cui si fanno un po’ i conti dell’anno passato e qualche pronostico per il futuro.
Quello appena concluso è stato un anno difficile per la nostra città, di grandi cambiamenti, quasi tutti negativi, e ci lascia un clima sociale e politico molto pesante., iniziato con l’eco di una manifestazione che ha visto migliaia di persone sfilare per le vie cittadine per chiedere pace e uguaglianza a un’amministrazione comunale cieca e tirannica. Da qualche tempo il sindaco aveva di fatto trasformato l’amministrazione comunale in un soggetto politico autoritario dalla violenza comunicativa inaudita, che aveva in pochi mesi ridotto la città a un campo di battaglia religiosa e sociale, prendendo a bersaglio la comunità bangladese con pretestuose argomentazioni riguardanti l’utilizzo delle sedi delle loro associazioni anche a scopo di culto. Argomentazioni usate come un trampolino per le proprie ambizioni personali, allo scopo di diventare un fenomeno mediatico e raggiungere la notorietà sufficiente a candidarsi e venire eletta nel Parlamento Europeo.
Sono stati mesi di continue dirette sui social, becere trasmissioni televisive compiacenti, esternazioni deliranti. Tali avvisaglie nel periodo natalizio sono sfociate in esternazioni che esprimevano una visione proprietaria non solo del potere, ma anche del patrimonio culturale, delle tradizioni, dei valori della comunità, persino del simbolismo religioso.
Nei mesi successivi continuavano le accuse contro la comunità bangladese, poi regolarmente smentite dai fatti, tutto finalizzato al percorso elettorale ed autocelebrativo della ex sindaco. E poi l’assurdità senza precedenti della ex sindaco che continua a governare la città con molteplici incarichi come assessore senza avere mai abbandonato il proprio ufficio, utilizzando il sindaco reggente e le altre cariche come sottoposti privi di carattere e di volontà. E il proseguimento della delirante campagna contro gli immigrati, questa volta dalla posizione di deputato europeo, che trasmette l’immagine di una persona che si appropria di ogni strumento democratico per distorcerlo a favore del potere personale.
Ecco, proprio questo è il punto. Lo sfruttamento spregiudicato della carica di sindaco per imporre il proprio pensiero politico e la propria visione della società assieme all’uso intensivo delle querele per tacitare il contraddittorio, garantite dagli uffici legali del Comune; la città usata come palcoscenico per la propria autocelebrazione, così come l’utilizzo della manifestazioni comunali per i propri fini, come la presentazione di un proprio libro di propaganda; la distorsione dei valori fondanti della nostra società, una visione personalistica del potere, dei valori, delle tradizioni, talvolta inventate, o reinterpretate in maniera strumentale, sino al punto di recarsi in chiesa con la fascia tricolore al di fuori di celebrazioni ufficiali, o di inviare messaggi di ringraziamento a chi si era recato a messa assumendo pose quasi da officiante.
Tutto ciò ha come scopo la distruzione di ogni punto di riferimento, la banalizzazione dei valori. La forza politica responsabile di queste distruzioni si propone come l’unico soggetto in grado di definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: come a dire che i valori sono tali solo se si riferiscono a una determinata forza politica. Valori che però possono essere soppressi quando non sono più comodi. I famosi valori a gettone. L’effetto che si percepisce e che ha contraddistinto l’anno appena concluso a Monfalcone è un legame strettissimo tra amministrazione e politica, nel quale un ben preciso progetto politico prevale sul benessere e sugli interessi reali dei cittadini.
Un esempio di ciò possiamo trovarlo nella miriade di cantieri aperti in città, presentati con il motto “chi sa fa” a insinuare che le amministrazioni precedenti “non sapevano fare”, in una continua e spesso gratuita denigrazione dell’avversario politico, omettendo però di dire che prima dell’elezione di questa giunta di destra il patto di stabilità interna impediva ai Comuni di fare investimenti, anche con i propri fondi disponibili, e solo con la Legge del 2016, definito l’anno zero del patto di stabilità interno, si è potuto ricominciare a investire, a spendere. Quindi non si tratta di “chi sa fa”, ma di chi ha la possibilità di utilizzare i fondi e non ha impedimenti di legge. Una mancanza di onestà intellettuale e pure di correttezza e rispetto nei confronti dei monfalconesi.
Il sottinteso di questa narrazione poi, è che tutte le opere intraprese sarebbero state utili, e magari prioritarie, rispetto ai bisogni della comunità monfalconese, cosa che va prontamente smitizzata: sono stati spesi milioni di euro per rifare piazza della Repubblica esteticamente e tecnicamente in pratica uguale a prima, a parte una fontana a sostituire le panchine, gli alberi e la loro preziosa ombra, per rifare il porticciolo, esteticamente gradevole ma del quale non si intravede l’utilità pratica, per riaprire un tunnel di cemento che non ha alcun valore né storico né sentimentale per i monfalconesi. Anche il cantiere della rotonda presso il porticciolo è in ritardo.
Insomma, spese enormi senza aggiungere nulla alla qualità della vita dei cittadini. L’unico scopo è quello di celebrare la capacità di “fare” a scopo di propaganda politica.
E poi la pretesa di interpretare un mandato ricevuto dagli elettori, sulla base dei risultati ottenuti nel 2022, non solo per l’amministrazione della città, ma anche per ogni iniziativa politica, come l’istituzione di una campagna contro la presenza di immigrati di religione islamica, in particolare la comunità bangladese, quasi che invece di una elezione amministrativa si fosse trattato della investitura ai pieni poteri. Questa interpretazione del proprio ruolo di sindaco è anch’essa una cosa nuova, nata poco più di un anno fa. E non fa bene a nessuno.
E poi il linguaggio, il vittimismo aggressivo, l’utilizzo di termini offensivi nei confronti di alcuni cittadini, come il termine “arroganza” usato nei riguardi della comunità islamica rea di chiedere (non pretendere, chiedere) di poter pregare. Una mancanza assoluta di rispetto sia nei confronti dei concittadini bangladesi, sia ancora una volta dei monfalconesi “indigeni” che non la pensano allo stesso modo, sia nei confronti della intelligenza di tutti.
Tutto questo è evidente nell’immagine della città. Chi ha percorso le strade di Monfalcone nel periodo natalizio, si è certamente accorto delle cicatrici lasciate dall’anno appena trascorso e di un’atmosfera festosa più’ suggerita che reale. La strabordante esibizione di luminarie nelle strade cittadine, che ricordava più una Las Vegas di seconda mano che una città nel periodo natalizio, illuminava un grande vuoto. Negozi chiusi, strade deserte. L’unico movimento si aveva intorno alla pista di ghiaccio, sempre gradita a bambini e adolescenti. Anche le tanto esaltate manifestazioni e spettacoli non hanno riscosso enorme successo, a onta delle autocelebrazioni da regime della giunta comunale, che addirittura parlava del “pubblico delle grandi occasioni”: sarebbe ben grave se uno spettacolo canoro gratuito al teatro comunale, che conta seicento posti (poco più di trecento se viene aperta solo la platea, come accade spesso), in una città di trentamila abitanti esclusi i dintorni non riempisse la sala…
In questa città sfinita, sfiduciata, nella quale i cittadini restano rinchiusi in se stessi, in cui l’unica socialità che sembra funzionare è paradossalmente proprio quella all’interno della comunità bangladese, un anno nuovo è arrivato. Un anno nel quale sarà possibile cambiare le cose, se lo vorremo. Altrimenti, l’unica cosa vera sarà la conclusione dell’omonimo brano di Lucio Dalla: “l’anno che sta arrivando, tra un anno passerà”. È nostra responsabilità cambiarlo completando il pensiero: “Io mi sto preparando, è questa la novità”.
Massimo Bulli