In democrazia sembra che la parola libertà descriva un valore assoluto, in nome della libertà si invoca, appunto, la libertà di essere nocivi e, in estremo, di esser stupidi, quindi dannosi a sé e agli altri.
Quando immaginiamo la democrazia, ci rappresentiamo libertà e diritti come valori assoluti e molto personali, quasi tracciassero un confine tra dittatura e democrazia, i più (ho verificato) nel mondo occidentale “democratico” affermano il diritto a esser liberi, un diritto che, molte volte, sfocia nel diritto a esser stupido, senza nessun timore d’esser dannoso.
La democrazia, quella evoluta e forse non ancora ben compresa, afferma che il diritto a esser liberi arriva sino al confine della libertà degli altri, è il gruppo che, al suo interno, assumendo i valori democratici, traccia il confine tra libertà individuali e libertà collettive.
Il considerare, per esempio, il diritto allo studio come percorso formativo per un cittadino delinea allo stesso tempo la responsabilità del singolo a investire tutte le sue capacità nello studio stesso, poiché il fatto che la formazione è un diritto sancisce l’obbligatorietà all’impegno personale. Devi applicarti con impegno, al massimo delle tue capacità, per ottenere il massimo della formazione possibile. Queste sono democrazia e libertà.
Possiamo considerare l’informazione come un bene, immateriale ma irrinunciabile, come un diritto fondamentale del singolo. Allo stesso tempo, l’informazione stessa deve essere coerente con il principio di responsabilità e libertà. Nessuno può o dovrebbe, in nome di un’ipotetica libertà d’informazione, permettersi di dare informazioni parziali o distorte. Faccio un esempio: quando parliamo di delinquenza, sicurezza, salvaguardia dell’integrità personale, criminalità, perché nel raccontare i fatti e le azioni criminali aggiungiamo anche la nazionalità, la religione, il colore della pelle o la condizione sociale (cittadino italiano, straniero, migrante, occupato, disoccupato, etc)?
Questa ulteriore informazione non aggiunge nulla di utile, anzi ottiene l’effetto che il fatto criminale quasi passa in secondo piano perché la seconda informazione (l’identità) crea nell’immediato un senso di confinamento, ovvero il crimine è circoscritto alla categoria identitaria trapelata.
Potrei giustificare tale comportamento da parte della politica, poiché anche nella miglior democrazia non esiste la miglior politica, ma nel settore dell’informazione, dove esiste un codice deontologico il cui rispetto porta al riconoscimento professionale e alla dignità sociale dei giornalisti, come si devono considerare quei giornalisti che usano sorvolare sulle indicazioni del loro codice? Devo considerarli stupidi, ovvero dannosi a sé e agli altri. Molte volte il termine stupido, che non ritengo offensivo perché descrive un limite oggettivo, viene sostituito da pennivendoli o venduti, questi sì termini offensivi e per nulla democratici: i giornalisti stupidi possono ravvedersi, gli altri hanno fatto una scelta di campo e li considero irrecuperabili.
La libertà, bene inviolabile e irrinunciabile, eguale per tutti vale per tutti.
“Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge.” È proprio questo principio di garanzia che dovrebbe indirizzare il pensiero di tutti i cittadini, ovvero, qualsiasi cosa mi succeda o io combini, sarò giudicato da pari e nel rispetto dei miei diritti. Posso sbagliare, delinquere, ma sarò sempre considerato un cittadino e giudicato secondo legge, con la garanzia che il mio sesso, religione, nazionalità, credo politico, situazione economica, non influirà sul giudizio stesso.
Vorrei soffermarmi sul diritto all’informazione che ogni cittadino deve pretendere.
Uno che non vuol sentir ragione, che racchiude il suo giudizio solo nell’espressione di elaborazioni personali, senza confrontare né consultare o porre domande, è persona libera? È dannoso? È stupido? Certo che non può esser resa obbligatoria l’informazione, ma – penso che siamo tutti d’accordo – non si parla solo perché abbiamo la bocca, ma perché desideriamo esprimere il nostro pensiero. Quindi siamo liberi di esprimere la nostra ignoranza ma siamo obbligati a informarci bene quando esprimiamo le nostre deduzioni, non è obbligatorio passare per stupidi.
Sull’informazione e sul diritto di accesso a un’informazione imparziale e, nei limiti del possibile, equilibrata, sembra piuttosto che lo Stato abbia un obbligo inderogabile cui attenersi, sono le leggi dello Stato a organizzare e garantire libero accesso e imparzialità. Lo Stato non può impedire ai cittadini l’accesso a questo bene immateriale, l’informazione.
Non è un caso che nella classifica mondiale sulla libertà di stampa (badate bene, libertà di stampa, non libertà di produrre fake news) l’Italia sia nella 46.a posizione (fonte https://www.cartadiroma.org/osservatorio/liberta-di-stampa-litalia-crolla-nella-classifica-di-reporter-sans-frontieres/), una posizione per nulla rassicurante. Le motivazioni a giustificazione della posizione in graduatoria descrivono drammaticamente l’importanza di una informazione libera; laddove le notizie e l’informazione sono distorte, la descrizione della Nazione è sconfortante se non pericolosa.
Quindi che fare?
Mi risuonano in testa queste parole: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”. Le scrisse Antonio Gramsci sul primo numero di L’Ordine Nuovo, il primo maggio del 1919.
Penso dobbiamo fare nostre queste parole, non perché appartengono a quel pensatore politico ma perché indicazioni così sagge non hanno padrone. Sono un dono a tutta l’Umanità come i Diritti, le Libertà, la Responsabilità. Applicabile a qualunque ordinamento sociale, qualunque comunità. Queste parole non hanno confini e devono arrivare a tutti.
Sono passati secoli da quando Solone (594 a.C.) contribuì allo sviluppo della democrazia ateniese. Ma il politico più influente fu, tuttavia, Pericle, con cui la democrazia raggiunse la sua forma più compiuta. Fu Pericle che, nonostante il discredito degli oppositori, introdusse una paga giornaliera per i nullatenenti, in modo che potessero anch’essi partecipare alla vita pubblica riuscendo ad attuare una democrazia come in nessun altro luogo dell’antichità.
Un particolare emerge, come la democrazia sia un bene immateriale che va preservato, ma anche adeguato ai tempi, altrimenti, come già avvenuto nel passato, una paga giornaliera o reddito di cittadinanza, misure per ottenere e facilitare l’accesso di tutti alla vita pubblica, vengono sistematicamente screditati e distrutti.
Guarda caso, chi l’avrebbe mai pensato?
Fabio Marchiò
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