Immaginate se esponenti del governo di centrosinistra avessero osato dire che quello di Fincantieri è un modello del made in Italy da seguire in Italia. Sarebbero partite le cannonate nazionalistiche.
Nel mondo di oggi, come ha insegnato l’elezione di Trump, destra e sinistra si mescolano e il popolo vota in base alle esigenze del momento. Oggi c’è necessità di protezionismo, di diritti sociali, di sanità, di scuola, di welfare, c’è bisogno di pensare alla gente del proprio Paese. C’è bisogno di avere stipendi che consentano non di sopravvivere ma di vivere dignitosamente, che poi sarebbe anche un principio della Costituzione più figa del mondo, come ci raccontiamo da decenni, ma anche la meno applicata del mondo. D’altronde siamo un Paese di parolai.
C’è un dato oggettivo e incontrovertibile per quanto concerne la situazione monfalconese. Si potrebbe metaforicamente dire che si è ceduta una sorta di “sovranità” territoriale a Fincantieri, che il suo lavoro lo sa fare, e bene, per restare competitiva nel mercato cantieristico; e la politica locale non ha alcun tipo di potere di intervento. Zero assoluto. Poi uno può raccontarsi tutte le storielle che vuole. Eppure: in cosa consiste questo modello tanto elogiato, guardando anche quello che accade nelle località dove questo colosso è ospitato? Formare i lavoratori del Ghana? Continuare a importare manodopera straniera? Essere sensibili alle esigenze religiose del Ramadan? Aprire sportelli per gli immigrati? Aprire asili? Fare accordi con i CPIA per favorire l’insegnamento dell’italiano?
Viviamo in una regione dove 30mila giovani italiani sono stati costretti a cercare fortuna altrove. Emigrando! E allora la vera sfida per Fincantieri, se vuole diventare un vero modello per questo Paese, è di diventare attrattiva per i lavoratori italiani a partire dai giovani. Ed essere attrattiva significa rivedere probabilmente la politica sui diritti del lavoro e sulle condizioni di lavoro.
A Monfalcone si deve evitare di continuare a mettere a disposizione il territorio per ospitare aziende che importano dall’estero la manovalanza, quando l’Italia ha una disoccupazione giovanile al 18,3%. L’azienda mira a fare profitto, ovviamente. Poi il resto deve sorbirselo la comunità, con tutte le conseguenze ben note a Monfalcone.
Insomma, dal governo più nazionalista della storia repubblicana italiana ci si aspettava tutt’altro indirizzo, a conferma che l’Italia del prima gli italiani è terminata a Monfalcone.
Marco Barone