Nella foto Stefano Allievi
In luglio a Monfalcone è stato organizzato un incontro con Stefano Allievi, professore ordinario di Sociologia presso l’Università di Padova e profondo conoscitore dei fenomeni migratori delle popolazioni.
I suoi studi e i suoi libri pongono da sempre l’attenzione sul pluralismo sociale e religioso e sul mutamento culturale in Europa dovuto alla presenza dell’islam. Un relatore competente e coinvolgente, abile nel trasmettere con semplicità le sue teorie alla platea. Nell’ascoltarlo ho considerato che questo è uno degli argomenti più discussi degli ultimi anni anche a Monfalcone e ha rafforzato in me la convinzione che solo un atteggiamento di apertura e tolleranza può facilitare una convivenza a cui non possiamo sottrarci, diventati anche noi, a pieno titolo, una società multietnica.
L’incontro con Allievi ha toccato anche un argomento che ultimamente è stato oggetto della più becera campagna politica della destra, mettendo in difficoltà chi, me compresa, ha maturato l’idea che il progresso e l’emancipazione devono essere passaggi obbligati in una società civile e moderna, di rispetto ed uguaglianza tra individui. Così, il parlare della condizione femminile musulmana è diventato terreno di conquista della destra più sprezzante, che manipola questa condizione per continuare a dare all’opinione pubblica una visione distorta di preoccupazione e paura.
È anche vero che il confine tra il legittimo diritto di praticare il proprio credo per loro, e il dovere di sensibilizzare sul diritto di uguaglianza e di autodeterminazione delle donne per noi, non è di facile delineatura. Ci si spende in lunghe discussioni per stabilire se la copertura del corpo delle donne musulmane sia una scelta libera e consapevole piuttosto che un’imposizione, anche se mascherata da tradizione religiosa.
Capita molto spesso, anche tra persone democratiche e tolleranti, che non disturbi la presenza del velo islamico ma turbi invece la copertura del volto, ancora adottata da qualche donna musulmana anche in città. Allievi ci viene in aiuto, spiegandoci che la copertura del capo è una condizione non nuova per noi, se solo pensiamo alle nostre nonne o alle suore, che non priva la persona della sua identità, della sua unicità e della sua espressività. Il viso, invece, è un elemento fondamentale per il mondo occidentale, indispensabile per relazionarsi con gli altri, per condurre una vita sociale, di relazioni, di studio e di lavoro. Insomma, una libertà innegabile, la cui garanzia dovrebbe diventare un prossimo impegno, delicato ma convinto, della politica democratica e progressista.
Mi ha colpito la determinazione di un ragazzo nell’esprimere la propria idea, che non dobbiamo prendere alla lettera, ma che ci invita a considerare anche queste realtà.
“Un viso coperto da un velo, un viso nascosto al mondo, un diritto negato, l’identità di una donna imprigionata da preconcetti e schiava di una società maschilista e retrograda. […] Un viso radioso, un viso orgoglioso, un viso delicato, un viso femminile non può essere coperto ma deve mostrarsi e dimostrarsi al mondo in tutta la sua umanità e fierezza dell’essere donna.” (Dario Marra, III A, Istituto Comprensivo Nicola Ronchi Media, Bari, 11 marzo 2016, La Repubblica@SCUOLA)
Michela Monticolo