Bisogna saper scegliere
Quando si parla di Europa, spesso si crede di avere a che fare con qualcosa di astratto, lontano: ciò non può essere legato solo a un difetto di perce0zione delle Istituzioni europee, ma ha a che fare soprattutto con l’architrave istituzionale dell’Europa, come è stata concepita e come oggi funziona.
Nonostante i difetti di cui la costruzione europea è portatrice, i modelli di riferimento per il futuro a cui guardare rimangono sostanzialmente due. Il primo è incarnato da chi propugna una maggiore integrazione tra i Paesi nazionali che compongono l’UE; il secondo da chi sostiene che si debba tornare indietro e quindi che la devoluzione di poteri, competenze e risorse trasferiti progressivamente a Bruxelles debba interrompersi.
La classica divisione tra destra e sinistra a livello comunitario, per quanto concerne la scelta tra la prima e la seconda opzione di cui sopra, ha caratteristiche peculiari che vanno comprese e le posizioni in questo senso sono differenti anche all’interno delle coalizioni politiche nazionali. Prendiamo come esempio la coalizione che oggi governa il nostro Paese. Nonostante sembrino andare d’amore e d’accordo sul futuro dell’Europa (e quindi sul futuro di tutti noi) le posizioni non sono solo diverse, ma a tratti alternative.
Del resto, come si possono conciliare le posizioni di Forza Italia e di tutta la galassia moderata che vi ruota attorno, parte integrante della più grande famiglia politica del continente, il PPE, fortemente europeista, con quelle di Salvini e della Lega, i cui manifesti elettorali invocano “più Italia meno Europa”? Su questo le posizioni non sono compatibili, è evidente. E come si pone Fratelli d’Italia rispetto a questa scelta? Crediamo sia proprio l’atteggiamento del principale partito politico italiano che ci deve preoccupare. Al netto del ruolo istituzionale di Giorgia Meloni, che cosa pensa veramente questa forza politica rispetto alla scelta che saremo, appunto, chiamati a fare nei prossimi anni? Dopo aver costruito il proprio profilo politico all’opposizione, di certo con un atteggiamento non benevolo verso l’Unione europea, ora che hanno l’onore e l’onere del governo, come pensano di guidare il nostro Paese dentro i prossimi scenari? La spinta della Lega a cercare alleanze in Europa con il peggio del sovranismo e del nazionalismo, vedi Marine le Pen o AFD in Germania, come si concilia con l’afflato europeo che, pare, ispiri il Presidente del Consiglio? In questo senso le elezioni di giugno non saranno un passaggio meramente tecnico o formale, ma andranno al cuore delle scelte che i popoli d’Europa saranno chiamati a compiere nell’immediato futuro.
Sembra chiaro quindi che chi vuole perseguire la via (faticosa ma, riteniamo, senza alternative) dell’integrazione politica del nostro continente non possa che guardare innanzitutto al PSE e quindi, in Italia, alle forze che si richiamano al centrosinistra. La frammentazione nazionale che caratterizza la parte del mondo in cui viviamo, soprattutto se si tiene conto dei giganti che dal dopoguerra a oggi hanno assunto dimensioni mastodontiche, Cina e India su tutti ma non solo, obbliga noi europei a ripensare al modo in cui stiamo al mondo e deve renderci consapevoli che, in fondo, siamo una piccola frazione della popolazione mondiale, oltretutto destinata a diminuire ancora nei prossimi decenni in ragione dell’invecchiamento della nostra popolazione.
Quindi come procedere? Senza un cambio di passo deciso sulla ricerca di una comune politica estera e di difesa l’Unione europea rischia di essere un gigante economico dai piedi d’argilla, dal punto di vista squisitamente politico, e come la storia insegna, se si è deboli politicamente si rischia di perdere influenza e le conquiste economiche e politiche su cui si è forgiata la storia contemporanea del nostro continente. Un rischio che non possiamo permetterci.
A fronte di un mondo che sta diventando sempre più instabile e multipolare, siamo certi quindi che l’attuale livello di integrazione ci garantisca un ruolo di primo piano nel consesso internazionale? Abbiamo raggiunto un livello sufficiente di autonomia strategica dai nostri alleati, ad esempio in campo militare, per poterci difendere domani da un’aggressione militare in totale autonomia? O pensiamo che con uno come Putin si possa ragionare senza tener conto dei rapporti di forza in campo?
Crediamo che la strada da fare sia ancora parecchia; ma per fare un vero e proprio salto di qualità l’Unione ha bisogno di uno scatto di reni e di non essere ostaggio dei veti incrociati di alcuni Paesi che oggi fanno parte dell’Europa formalmente, ma che nel sogno dell’Europa politica non credono affatto, vedi l’Ungheria di Orban. Tutte le grandi organizzazioni si fondano su alcuni Paesi che fanno scelte ambiziose prima di altri e non si fanno imbrigliare dai veti di chi, per scelta o per altre ragioni, non è pronto a fare il salto di qualità necessario.
Ci aspettiamo quindi che chi avrà il compito di guidare le istituzioni europee nei prossimi anni sia all’altezza della situazione e si faccia carico di introdurre le cosiddette cooperazioni rafforzate sulle materie cui abbiamo accennato. L’alternativa è l’incompiutezza della costruzione comunitaria, con il rischio concreto di essere tagliata fuori dalla competizione geopolitica globale nella quale, piaccia o meno, ci ritroveremo nei prossimi decenni.
La Redazione