Anche se vai di fretta, con passo svelto, non puoi fare a meno di notare in via Aris un alberello natalizio sobriamente addobbato, una panchina rossa per denunciare la violenza sulle donne e sopra di essa un piccolo presepe.
Sin qui nulla di strano, siamo a Natale e questa festa ha i suoi simboli, le sue tradizioni. Se ti fermi un istante, ti accorgi che sopra la capanna campeggia la scritta “Sono nato per tutti”. Nato per tutti, già, per tutti.
Ma se osservi con più attenzione noterai che nella mangiatoia il bambinello ha le braccia aperte e sorride; tutti i Gesù bambino dei presepi hanno le braccia spalancate e sorridono, ma che significato hanno quelle braccia spalancate?
Io ho provato, anche se non ho la fortuna di credere, a dare una spiegazione a quel gesto così apparentemente semplice ma molto impegnativo. Quelle braccia aperte vogliono forse dire “Eccomi, son qui per te e per tutti quelli che vogliono vivere in pace e in buona volontà”; quelle braccia vogliono proteggere come un caldo abbraccio di madre, vogliono dirci di non aver più paura, di non temere perché la notte buia è finita. Quelle braccia uniscono e non dividono e parlano della bellezza dei colori, di tutti i colori. Quelle braccia aperte al mondo hanno la dolcezza del tramonto e il miracolo dell’alba, non conoscono confini, perché sono orizzonti di vita. Quelle braccia hanno in sé l’ingenuità del bimbo che nasce, il suo disincanto, la sua aspettativa di un mondo più giusto; ecco, questo potrebbe essere il significato di quel gesto così apparentemente naturale, in fondo una promessa.
Ma se fosse diverso il significato di quelle braccia aperte, se non fosse altro che un gesto di resa dinnanzi alla protervia degli uomini, davanti alla loro perenne cattiveria, basta in fondo guardarsi intorno, nella nostra città per esempio, senza andare troppo lontano. Accogliere, conoscere, capire e non dividere; guardare semplicemente le donne e gli uomini di un altro colore come parte di un unico progetto di convivenza nel rispetto delle differenze che devono unire e non dividere.
Se quelle braccia ingenuamente e pacificamente accoglienti fossero l’arrendersi a quelli che usano i presepi, i simboli religiosi come spade per ferire, per eliminare il cosiddetto (per lui) diverso? Se identità, civiltà e tradizioni fossero solo pretesti per nascondere le proprie debolezze e insuccessi, fossero muri alzati per la sola paura di amare, perché incapaci di amare se non il proprio effimero benessere.
Ecco, ora mi domando cosa sono quelle braccia aperte per ognuno di noi, cosa vogliamo che rappresentino, cosa possiamo fare perché quelle braccia siano l’abbraccio che tanto desideriamo, l’abbraccio che ci è mancato, l’abbraccio che unisce, un abbraccio che non ha tempo o condizioni.
Buon Natale, Buon Anno
Giovanni Sonzini