di Marco Barone
Il terzo millennio è iniziato sotto il segno delle guerre, Afghanistan, Iraq, tensioni epocali tra USA e Corea del Nord, terrorismo islamista, guerra in Etiopia, in Ucraina, e chi più ne ha più ne metta per arrivare alla situazione attuale tra Israele e Palestina che non nasce dal nulla ma è un sistematico filo della tensione e del dramma che continua dalla fine della Seconda guerra mondiale.
In tutto ciò, come è sempre stato detto, con l’ISIS, nessun posto al mondo può ritenersi al sicuro, nessuno, anche nel nostro piccolo FVG dove abbiamo visto le barriere antiterrorismo.
In tutto ciò arriviamo a Monfalcone. Una città che vede buona parte della popolazione di fede musulmana, che non significa essere fondamentalisti islamisti, una città che è stata plasmata in questo modo da Fincantieri, per rimanere competitiva sul mercato, e destra e sinistra e centro locale, per quanto possano lottare sul ring della politica, nulla possono e potranno fare per cambiare ciò. Perché spetterà solo allo Stato italiano decidere di cambiare rotta su Fincantieri.
Non si può pretendere di licenziare migliaia di lavoratori perché musulmani o bengalesi, o non bianchi, cattolici e italianissimi, ciò sarebbe illegale e discriminatorio, e ci riporterebbe nel ventennio, quello che si dovrebbe fare è cambiare le condizioni di lavoro, affinché i ragazzi delle nostre terre, come va di moda dire oggi, possano rimanere qui, lavorare qui, in condizioni accettabili e poter invertire la rotta del calo demografico, che in FVG è un dramma.
Se non ci fosse la popolazione straniera, oggi scuole e servizi pubblici e privati sarebbero in totale sofferenza e già le conseguenze di questo calo demografico le viviamo, con il dimensionamento scolastico che nel goriziano che porterà a perdita di posti di lavoro e peggioramento dei servizi. Mentre nel resto d’Italia si lotta, si protesta, si sciopera, per evitare processi di dimensionamento scolastico, qui, invece, la cosa sembra essere stata vissuta come se niente fosse, salvo qualche presa di posizione contraria ma che non è servita a cambiare la situazione.
A Monfalcone è innegabile che in questi ultimi anni vi è stato un peggioramento anche visivo della situazione. Nel senso che si vedono sempre più donne coperte con il velo, anche con la mascherina pensata per contrastare il COVID ma utilizzata per coprirsi il volto per ragioni di “fede”. L’emarginazione porta a maggiore chiusura, l’esclusione porta alla radicalizzazione, ma non è solo questa la causa di tale arretramento di questi tempi a Monfalcone.
L’ostentazione è anche segno di forza. L’integrazione attraverso la condizione della reciprocità deve passare prima di tutto dalla laicità, che significa andare oltre la questione religiosa, della moschea sì o moschea no, e riconoscere pari dignità all’uomo e alla donna, cosa che non esiste a Monfalcone per migliaia di persone.
La situazione arabo israeliana è arrivata anche qui, era innegabile, di cosa stupirsi del video di via Sant’Ambrogio che ha fatto giro d’Italia? Buon senso vorrebbe evitare a livello istituzionale comportamenti da tifoso, evitare provocazioni. Innegabile è che Israele ha subito un violento attacco criminale, da Hamas, organizzazione indifendibile a parere dello scrivente, come è innegabile che Hamas nel 2006 fu votata dal 40% dei palestinesi ed è cresciuta in Palestina, ma come il governo attuale israeliano non può rappresentare tutti gli israeliani lo stesso dicasi per Hamas verso i palestinesi.
La reazione israeliana è stata di una brutalità estrema che dalla parte della ragione l’ha portata a quella del torto e soffiare sul fuoco è inaccettabile soprattutto in una Monfalcone che non è una Banlieue di Parigi, ma che deve fare i conti con una trasformazione sociale epocale.
La destra in questi anni politicamente non è riuscita ad invertire la marcia con Fincantieri, il tempo lo ha avuto, tanto a livello nazionale, quanto regionale, quanto locale, ha fallito, evidenziando l’impotenza della politica locale e di questo oramai se ne deve prendere atto, quello che invece la politica locale può e deve fare, anche se si ha la sensazione che si è forse in un punto di non ritorno per il tempo perso, è attivarsi per sostenere processi di dialogo reali, di integrazione, di mediazione culturale, guardandosi attorno, cercando di capire quali sono i modelli a cui ispirarsi in Europa, perché esistono, e non favorire comportamenti di emarginazione ed esclusione sociale che altro non avranno come conseguenza quella della chiusura.
Serve buon senso, serve dialogo, occorre moderazione nei comportamenti, perché la tensione globale, volendo o non volendo, è penetrata anche qui nel nostro territorio.